Youssef, Francis, Zarghona: «Attraverso i podcast abbiamo raccontato di noi, del nostro dolore e del nostro riscatto»

Youssef Mouftakir
Youssef Mouftakir, marocchino, 20 anni

Il pugilato come forma di riscatto, i sogni che muoiono e poi si riaccendono, un pesante viaggio migratorio che però non gli ha impedito di riprendersi la vita. Vent’anni, originario di Casablanca, in Marocco, Youssef Mouftakir è uno dei tanti giovani migranti seguiti dai progetti di accoglienza SAI del Comune di Ravenna. C’era anche lui, ieri a Ubuntu Officina Formativa (dentro l’Orto botanico di piazzetta Serra), per la presentazione (durante la Giornata del Rifugiato) di «Poddare. Da Ravenna al mondo», la piattaforma di podcasting del Comune che, nei mesi scorsi, è stata uno spazio multiculturale, multilingue, giovane e creativo per raccogliere storie, approfondimenti, racconti, esperienze e punti di vista. La sperimentazione, portata avanti in primis dall’Informagiovani e nata all’interno del progetto Dare finanziato dall’Unione europea con UIA – Urban Innovative Actions, ha fatto nascere otto rubriche, tra cui «Stories from afar» (disponibile su Spotify), dove hanno raccontato di sé diversi minori stranieri non accompagnati e neomaggiorenni accolti dalle cooperative sociali del territorio, come Cidas e Sol.co. La puntata dove è protagonista Youssef (e che potete ascoltare qui), parla appunto di guantoni, ganci e montanti. Quelli di un ragazzo di 20 anni, in Italia da tre: «Dal giorno in cui sono arrivato, ho ripreso a sognare. Prima di arrivare qui, infatti, ho attraversamento un periodo difficilissimo della mia vita: un duro viaggio attraverso la Libia, dove ho creduto di dover abbandonare progetti e ambizioni, pur sapendo che il mio cuore non li avrebbe lasciati andare facilmente». Due anni fa Youssef è diventato campione regionale: «La palestra e il ring mi calmano: per me salire sul ring non significa fare male a qualcuno, ma significa parlare, raccontare quanto ami quello che fai. È come quando ami una persona e vuoi farle sapere quanto la ami, così lo faccio raccontando boxe». Per Youssef non è stato un percorso facile: «Non lo sarà mai, non lo è stato mai, fin da quando mio fratello mi ha trasmesso la passione.Ma sento che mi appartiene, che è nella mia strada e ho promesso a me stesso che lo farò fino alla fine. Vorrei diventare campione del mondo e magari scrivere un libro in cui racconto la mia storia per far capire alle persone che devi lavorare tanto nella vita, ma soprattutto devi crederci: perché se ci credi ci arrivi e questo me lo hanno insegnato la vita e la mia religione».

Anche Zarghona Jawadi, 26 anni, rifugiata afghana, ha trovato una forma di espressione a lei consona attraverso il podcast (qui la puntata in cui parla): «Il podcast è stata la mia prima esperienza per poter raccontare una parte della mia cultura, la cultura afghana. Ho scelto di parlare delle donne, dei loro diritti e della fiducia in se stesse. In Italia le donne hanno una vita tranquilla e diritti pari a quelli degli uomini: possono studiare, lavorare e scegliere il loro futuro. In Afghanistan, invece, no: le donne sono costrette a vivere una vita che non scelgono, a sposarsi forzatamente. Non possono studiare o lavorare, non possono uscire sole di casa». Arrivare in Italia, per Zarghona, è stato come rinascere: «Ho avuto l’opportunità di studiare, di costruire un futuro, di incontrare nuove persone che mi sostengono in questo percorso. Anche la mia famiglia mi supporta a distanza, cosa per me molto importante». Per la ragazza, parlare in “radio” resterà qualcosa di indimenticabile: «I giovani possono raccontare la propria storia e lasciare un messaggio. Mi piacerebbe poterlo rifare in futuro perché mi ha insegnato a riflettere, a parlare, a pensare in italiano, una lingua completamente diversa dalla mia».

Zarghona Jawadi
Zarghona Jawadi, aghana, 26 anni

Bei ricordi rimarranno anche in Francis Agyei, 18 anni, del Ghana, che ha usato il podcast (qui la sua puntata) come mezzo per lasciarsi alle spalle il passato e il dolore ad esso collegato: «Sono in Italia da solo un anno e ho deciso di raccontare in inglese qualcosa di me e della mia storia, di ciò che ho visto e sentito. Prima di arrivare qui mi sentivo triste, preoccupato, ma quando sono arrivato, mi sono reso conto che qualcosa era cambiato: tutta la mia vita. Certe cose non si dimenticano ma poterle parlare nel podcast è stato un modo per affrontarle. Lo rifarei senz’altro».

Francis Agyei
Francis Agyei, ghanese, 18 anni