Per molto tempo ho creduto che esibendo il mio certificato di nascita, dove c’è scritto che sono nato a Torino, non avrei incontrato muri, ostacoli, problemi. E invece no. Senza residenza, dunque senza carta d’identità, per anni ho avuto la strada sbarrata.
Mi chiamo Johnson Odiase, ho 22 anni e dal 9 gennaio 2020 per il Comune di Ravenna risiedo in via dell’Anagrafe 395, un indirizzo fittizio che mi ha risolto alcuni problemi: oggi posso sventolare la mia carta d’identità, anche se in sede di rinnovo del permesso di soggiorno, in Questura, quell’indirizzo mi è stato contestato, visto che non consente di ricevere posta. Fatto sta che oggi sono più sereno, persino i padroni dell’appartamento in cui vivo sono disponibili al fatto che io prenda la residenza dove pago l’affitto, sono io che sto rimandando, visto che prima o poi mi sposterò. Insomma, per il momento mi faccio bastare la via fittizia, consapevole che tutto sommato sono stato fortunato: l’ufficiale d’Anagrafe che me l’ha concessa è stato gentile, ha capito il problema. Non penso che a tutti vada così bene.
Quel che è assurdo, nella mia storia, è che io, nonostante la cittadinanza nigeriana, sono nato in Italia. Solo quando avevo sette anni, insieme ai miei fratelli, nostra madre ci mandò in Nigeria da una sorella, perché lei aveva problemi con il compagno e doveva lavorare. A Benin City dicevo a tutti che ero italiano, anche se durante i miei dieci anni di permanenza, la lingua l’ho dimenticata, per poi tornare a impararla e a parlarla quando sono arrivato a Ravenna, per ricongiungermi a mio padre che viveva qui. Peccato che avessi un visto turistico di tre mesi e che dopo poco essere andato a vivere nella casa popolare in cui la mia matrigna e mio padre abitavano, loro se ne siamo andati in Inghilterra, e io mi sia ritrovato a due passi dallo sfratto. Il Johnson col certificato di nascita italiano, sbandierato con orgoglio, era di nuovo escluso, invisibile, senza diritti.
Perché capita spesso, in Italia, che se mostri solo il tuo permesso di soggiorno e non, invece, la carta d’identità, ti guardino male, come se ti mancasse un pezzo. Le persone credono tu sia irregolare, o che quel documento non sia valido. E anche per le istituzioni sei qualcosa di meno. Sembrerebbe una banalità formale, la residenza anagrafica. Invece spalanca le porte: della dignità, prima di tutto.