Una rete territoriale contro lo sfruttamento lavorativo: «Non abbiamo davanti solo il bracciante migrante sfruttato»

A un anno dall’adozione delle nuove linee guida nazionali in materia di identificazione, protezione e assistenza delle vittime di sfruttamento lavorativo i soggetti, istituzionali e no, della Rete territoriale di Ravenna si sono seduti ad un tavolo di lavoro finalizzato a individuare i principali profili di criticità connessi al fenomeno dello sfruttamento del lavoro,  definire strategie condivise d’intervento e promuovere un lavoro di rete e multi-agenzia. Strumenti che, sempre di più anche negli atti d’indirizzo, sono promossi come metodologia efficace e necessaria per l’identificazione e il contrasto dello sfruttamento lavorativo.

Sebbene l’immagine del bracciante, per lo più migrante, sfruttato nelle serre e costretto ad alloggiare in baracche in condizioni degradati, resti un’immagine ancora drammaticamente reale in molte storie di vita delle operaie e degli operai impiegati nel nostro sistema produttivo, è pur vero che nella maggior parte dei casi, oggi, il fenomeno dello sfruttamento lavorativo presenta connotati molto diversi, per settore e per modalità. Assumere come dato questo elemento empirico rappresenta il punto di partenza essenziale per una corretta strategia d’intervento.  Sempre più spesso, le operatrici e gli operatori della Rete si trovano di fronte a forme di sfruttamento non aggravato, fenomeni di grigio nei quali il limite fra illecito civile e penale è sempre più sfumato. Sfruttatori gentili che sostituiscono forme di violenza fisica a stati di soggezione e alienazione delle lavoratrici e dei lavoratori (complessi da rilevare, ma ancor più da provare), che sfruttano forme di lavoro flessibile per nascondere condotte sempre più raffinate di sfruttamento, o, ancora, forme digitali di sfruttamento[1]. Un upgrade (prevedibile!) delle condotte di sfruttamento a cui deve corrispondere un aggiornamento degli strumenti utilizzati per contrastarne il fenomeno.  

Su queste riflessioni si costruisce il tavolo tecnico organizzato dal Comune di Ravenna, con un evento pubblico in programma domani 2 dicembre alla Biblioteca Classense su di un tema che sempre più assume i connotati di una vera e propria emergenza sociale. Tale iniziativa chiude un percorso di aggiornamento (il primo di altri) rivolto alle operatrici e agli operatori dei servizi territoriali chiamati a svolgere l’azione di identificazione preliminare delle vittime di sfruttamento lavorativo (ufficio e sportelli comunali per persone con background migratorio, rete SAI, strutture per MSNA, operatrici e operatori del terzo settore, sindacato). Sono stati organizzati due diversi momenti formativi; l’uno finalizzato a esplorare casi di sfruttamento diversificati e a creare strumenti di intervista comuni in grado di massimizzare l’efficacia dei primi colloqui per la rilevazione degli indici di sfruttamento, rispondendo così alla necessità di ridurre il moltiplicarsi dei colloqui della vittima di sfruttamento, come esplicitamente richiesto nelle nuove Linee-Guida. L’altro volto a potenziare le competenze trasversali degli operatori e delle operatrici su temi specifici legati alla tutela di persone con background migratorio. In questi casi, per la valutazione dello stato di bisogno delle vittime di sfruttamento lavorativo, si rende necessario considerare la vulnerabilità specifica, situazionale e normativa che caratterizza lo status di cittadina/o migrante.  Le cittadine e i cittadini che vivono e lavorano sul nostro territorio scontano una vulnerabilità insita nel loro stesso status di migrante, determinata o esasperata dalle politiche restrittive nazionali in materia di immigrazione e dalla moltiplicazione a loro danno di episodi di discriminazioni istituzionali, prima di tutto, spesso multiple e intersezionali. È evidente quindi, da una parte, che la valutazione dello stato di bisogno dovrà tenere in considerazione tali circostanze, dall’altra che, per una effettiva presa in carico, si dovrà svolgere un intervento volto a garantire una stabilizzazione dello status amministrativo della vittima, e di eliminazione delle discriminazioni (in particolare quelle istituzionali) esistenti a danno di questo specifico gruppo sociale. Si pensi ad esempio alle difficoltà legale all’accesso ai servizi finanziari presupposto per l’attivazione di un regolare contratto di lavoro; a reperire un alloggio; ad accedere allo SPID e a tutti i servizi conseguenti; a un contratto di lavoro nel caso di permesso di soggiorno cartaceo (o di breve durata), di codice fiscale provvisorio, o se ci si trova in fase di rinnovo/conversione del permesso di soggiorno.

Accanto alla  necessità di adeguare e discutere gli schemi interpretativi per l’individuazione e l’identificazione dei casi di sfruttamento lavorativo, un’altra criticità si rende sempre più evidente: l’inadeguatezza degli attuali percorsi di protezione e assistenza previsti per le vittime. Tali percorsi sicuramente efficaci per quelle situazioni di sfruttamento lavorativo grave – in cui le vittime subiscono anche violenza o minaccia – , mal si conciliano con i casi di sfruttamento non aggravato, o per i quali l’urgenza di una messa in protezione (intesa come isolamento o trasferimento in altro territorio) non sussiste, ma risultano invece centrali i bisogni primari della persona. La narrazione di queste storie racconta un fattore comune: il bisogno impellente di lavorare connesso alla necessità del sostentamento economico della famiglia di origine o, in altri, casi legato alla necessità di saldare il debito contratto per realizzare il proprio progetto migratorio. Generalmente, quindi,  le persone vittime di sfruttamento lavorativo hanno come bisogno prevalente quello di essere messe rapidamente in condizioni di lavorare per poter mandare le rimesse a casa, e sono per questo “disposte” ad accettare lavoro in condizioni di sfruttamento, purché pagato. Non si potrà quindi considerare una risposta efficace la sola proposta di percorsi di lingua, di formazione, professionalizzati, se non ci si occupa di far corrispondere a questi percorsi una “retribuzione” adeguata che consenta alla persona non solo di investire su sé stessa e sulla sua professionalizzazione, ma anche di adempiere agli obblighi economici nei confronti della famiglia a carico. Gli attuali percorsi di protezione (articoli 18 e 22 del Testo Unico Immigrazione) operano in maglie troppo strette: da una parte presuppongono l’attualità dello sfruttamento lavorativo, la necessità che la condotta di sfruttamento sia realizzata con violenza o minaccia e che vi sia un pericolo concreto per l’incolumità della potenziale vittima, dall’altra prevedono strutturalmente dei percorsi che mal si conciliano con i bisogni di cui è stato detto. Infatti, anche laddove tali percorsi riescono ad essere attivati, sono spesso percepiti dalle vittime come momenti di isolamento e di perdita di autonomia, con la conseguenza di interruzioni precoci dei percorsi e di successivi episodi di ri-vittimizzazione.

Funzionalmente alla tutela di questi bisogni risulta essenziale e non più rinviabile, inoltre, un sostanziale e diffuso intervento dell’autorità giudiziaria che ponga al centro delle misure reali previste in via cautelare quello del controllo giudiziario dell’azienda (art. 3, l. 199/2016). Solo attraverso misure di carattere conservativo e non ablativo sarà possibile attuare azioni di contrasto al fenomeno dello sfruttamento che tengano in considerazione nell’immediato il tema della tutela dei diritti economici delle vittime. Il giudice che procedere per il reato di sfruttamento lavorativo e intermediazione illecita (art. 603-bis, c.p.), con la nomina di un amministratore, aziona uno strumento di azione positiva che non ha come finalità quella della liquidazione aziendale, ma piuttosto una cooperazione con il potere pubblico, che nella figura dell’amministratore, affianca il datore di lavoro nella gestione aziendale regolarizzando le posizioni dei singoli lavoratori. Questo consente ai lavoratori non solo di poter continuare a lavorare e quindi avere i soldi necessari per il sostentamento proprio e delle loro famiglie, ma addirittura può portare – grazie all’azione di regolarizzazione operata dall’amministratore giudiziario -,  ad una prima esperienza di un impiego dignitoso in Italia, che sia rispettoso delle norme in materia di diritto del lavoro e di sicurezza e quindi capace di prevenire il fenomeno delle ri-vittimizzazione. Anche nel caso in cui l’assetto aziendale non consenta una prosecuzione delle attività economiche, questo tipo d’intervento risulta comunque essenziale perché grazie alle attività dell’amministratore i lavoratori potranno ottenere una regolarizzazione dei loro contratti, dei loro contributi, delle loro retribuzioni senza che sia necessario un lungo e faticoso contezioso attraverso una causa civile. In questo, altrettanto fondamentale risulta la collaborazione tra l’amministratore nominato e gli organi preposti per l’attività ispettiva (ispettori del lavoro, funzionari dell’INPS e dell’INAIL). Dal coordinamento di questi soggetti, per portare un esempio, si potrà assistere abbastanza rapidamente ad una azione consequenziale in cui l’amministratore, dopo avere regolarizzato le posizioni contrattuali, si occuperà di portare a cessazione i rapporti di lavoro comunicando le nuove posizioni all’Inps e quindi consentendo ai lavoratori di ottenere una disoccupazione che sia in linea con gli effettivi contributi versati e non quelli che risultavano durante il lavoro in condizioni di sfruttamento.

Ed è proprio sulle funzioni istituzionali degli organi di vigilanza e prevenzione che si innesta l’altro segmento fondamentale d’azione. Ai fini di razionalizzare e semplificare l’attività di vigilanza si è istituita l’Agenzia unica per le ispezioni del lavoro denominata Ispettorato nazionale del lavoro. Obiettivo di questo intervento è stato non solo razionalizzare le attività ispettive sui luoghi di lavoro, ma soprattutto superare e prevenire eventuali sovrapposizioni negli interventi ispettivi. Da un punto di vista sostanziale, quello che qui interessa sottolineare, è l’attivazione di una funzione coordinata tra l’attività ispettiva svolta dagli Ispettori del lavoro e i funzionari dei servizi ispettivi INPS e INAIL. Nella nuova costituzione, inoltre, l’INL si coordina con i servizi ispettivi delle ASL e delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente, al fine di assicurare un’uniformità di comportamento e una maggiore efficacia degli accertamenti ispettivi, evitando appunto la sovrapposizione degli interventi. Di nuovo, l’esperienza su alcuni territori ha mostrato come questo intervento coordinato sia la più efficace strada di lavoro per il contrasto del fenomeno di cui oggi discutiamo, anche se purtroppo in molti casi ancora rappresenta una eccezione all’ordinario metodo di lavoro.

Dal complesso panorama emerso è evidente che si rende necessario non solo un adeguamento degli strumenti, ma anche un efficace coordinamento delle azioni dei diversi soggetti coinvolti, dai servizi chiamati a svolgere l’identificazione preliminare, all’autorità giudiziari, agli organi ispettivi deputati a individuare e irrogare le sanzioni. Il lavoro realizzato nell’incontro di domani rappresenta un fondamentale momento di condivisione, confronto e programmazione da parte dei diversi soggetti coinvolti, che deve essere vissuto come primo momento di lavoro in un percorso faticoso e complesso come è quello del contrasto del fenomeno dello sfruttamento lavorativo.


[1] Su questo interessante l’analisi della “digitalizzazione dello sfruttamento” fatto da Maria Barberio e Valentina Camurri, L’amministrazione giudiziaria di Uber: un possibile cortocircuito tra il sistema giuslavoristico e le misure di prevenzione, in Giurisprudenza Penale web, 2020, 7-8