Un piano regionale per l’integrazione degli stranieri, Facchini: «Contrari a un’accoglienza spersonalizzante»

Emilia-Romagna in prima linea per affrontare con decisione e positività il tema dell’immigrazione. Si parlerà di interculturalità e di inclusione nel webinar aperto a tutti in programma domani 19 gennaio e intitolato «Emilia-Romagna: plurale, equa, inclusiva in un’Europa interculturale». Approfondiamo le tematiche con il referente Area Immigrazione del settore politiche sociali di inclusione e pari opportunità della Regione Emilia-Romagna Andrea Facchini.

Foto di Luca Gambi

Domani verrà presentato il Programma 2022-2024 per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri della Regione Emilia-Romagna. Iniziamo dal titolo del webinar “Emilia-Romagna: plurale, equa, inclusiva in un’Europa interculturale”. Può darci una definizione di queste caratteristiche e della loro importanza?
«Sono tre parole che abbiamo pensato di associare all’Emilia-Romagna perché crediamo che la pluralità sia un elemento attivo di questa Regione; basti pensare che ci vivono cittadini di 175 differenti nazionalità. C’è un dato pratico, empirico e un dato valoriale. Per noi la pluralità è un valore, un fattore positivo. Per noi l’innovazione nasce dal confronto e dall’incontro e quindi la pluralità è come fosse una sorta di biodiversità che dev’essere tutelata, un valore. L’equità è l’indirizzo strategico che tutte le politiche regionali devono fare propria per ridurre le diseguaglianze. E, infine, l’inclusione per sottolineare il fatto che ogni persona ha diritto a intraprendere un proprio percorso di vita che la faccia sentire parte di una comunità e, quindi, inclusione come opposto al percepirsi estranei o stranieri rispetto a un luogo. L’interculturalità è un ulteriore elemento rafforzativo rispetto a questi tre fattori, che anzi li include».

Che cosa distingue la Regione Emilia-Romagna da altre regioni italiane nel settore dell’accoglienza?

«Abbiamo sempre cercato di lavorare per un’accoglienza diffusa decentrata, che arrivasse in ogni luogo del territorio regionale, per evitare concentrazioni, forme di accoglienza che vanno a spersonalizzarsi. È un principio che abbiamo sempre condiviso con chi ha la competenza dell’accoglienza, che è lo Stato, attraverso le sue strutture decentrate, che possono essere le Prefetture, per esempio. Facciamo in modo che questa accoglienza statale entri in contatto con il sistema welfare regionale, con grande attenzione a condividere i passaggi con Prefetture, Comuni, USL. Siamo consapevoli che molto spesso la persona che arriva si ferma ed è importante che immediatamente dopo l’arrivo ci sia già un’idea di percorso di inclusione. Accoglienza in un’ottica di inclusione».

Lei si occuperà in particolare di alcune tematiche del Piano: sociale, sport, cultura e intercultura. Può descrivere gli interventi principali previsti per ciascuna di esse?

«Usciamo ampiamente dall’alveo delle politiche sociali, delle politiche sanitarie, scolastiche, e tocchiamo tutti i temi. Ci sarà una prima parte di premessa strategica, una parte di lettura statistica del fenomeno, una parte su fattori determinanti non previsti, Covid e aggressione bellica della Russia nei confronti dell’Ucraina, poi abbiamo individuato cinque aree tematiche trasversali. Qualsiasi intervento di inclusione deve prendere in considerazione queste cinque tematiche. Per rendere il programma ancora più operativo e concreto, con un lavoro collettivo di scrittura a più mani, abbiamo elaborato 17 schede tematiche sui vari argomenti, che spaziano dallo sport alla cultura, alle politiche sociali. Durante il webinar ne tratteremo qualcuna a titolo esemplificativo. La bellezza di questo programma è capire come il concetto di inclusione possa essere declinato in mille rivoli di vari settori della Regione. È un salto di qualità importante rispetto ai programmi precedenti, che segnala una consapevolezza interculturale più diffusa nel contesto istituzionale regionale, ma anche a livello locale».

Sono previsti interventi specifici per fasce di età, data la maggior difficoltà per cittadini adulti di inserirsi e di arrivare a una vera inclusione nel contesto sociale?

«No, il Programma individua due grandi sfide: l’integrazione socio-economica delle donne e il pieno protagonismo delle nuove generazioni – non li chiamiamo immigrati di seconda generazione -. Sta ad ogni settore capire come tradurle. Le donne possono essere legate a tematiche come l’isolamento territoriale, problematiche nella loro dimensione di madri, o occupazionali. Settore per settore, si definiranno programmi di intervento. L’importante è capire che lì c’è un punto nevralgico; non possiamo parlare di inclusione se i dati di disoccupazione delle donne straniere sono elevatissimi. Ci piace essere molto critici con noi stessi e le criticità dobbiamo tirarle fuori e debbono essere i nostri punti di sfida».

Quanto ritiene importante la partecipazione a un progetto a livello europeo?

«Noi abbiamo bisogno di sprovincializzare il nostro punto di vista, di pensare a queste tematiche insieme ad altre regioni europee che hanno anni di esperienza superiori ai nostri. Pensiamo alla Germania, al Belgio, alla Francia, alla Svezia. Come ci sono Paesi che stanno affrontando adesso i fenomeni migratori, come i Paesi dell’est. È bello intrecciare le riflessioni. Il progetto EU Belong ci permette di fare questo. Noi non abbiamo dei documenti nazionali di riferimento sulle politiche di inclusione; gli ultimi governi non hanno elaborato nulla, pur sapendo che il D.L 286 imporrebbe ai governi ogni tre anni di istituire un piano strategico pluriennale. Non c’è alcuna sanzione quindi noi siamo orfani di un documento nazionale; da un lato guardiamo pertanto basso, a ciò che fanno i Comuni più virtuosi e dall’altro guardiamo oltre l’Italia, all’Europa, per gli aspetti normativi e di programmazione».

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