La vita è una sola, ma ci sono persone che nella loro esistenza ne vivono più di una. Quella che sarà proiettata oggi alle 16,30 alla Biblioteca Classense di Ravenna è la storia (resa nel documentario di Robert Curtin) di un bambino sui 5-6 anni di nome Gino, che nel 1944 fu ritrovato da alcuni soldati canadesi vicino a Frosinone, mentre vagabondava solo, impaurito e affamato. Non riuscendo a rintracciare i genitori, i soldati decidono di tenerlo con loro, gli danno una piccola uniforme e se ne prendono cura. Lo chiamano “Gino Birgaglia” perché così capiscono, mentre il bambino invece dice loro “Bragaglia”: “Per me quei soldati erano come papà e fratelli, mi coccolavano e mi viziavano in tutti i modi possibili. Ragazzi giovani, sui 20 anni, che mi trattavano come fossi loro figlio“, ci racconta al telefono Gino.
I soldati portano il bambino con loro negli spostamenti, ma, giunti a Ravenna, capiscono che devono separarsi da lui, perché, nel frattempo, la guerra si è spostata più a nord e loro ricevono l’ordine di andare verso la Francia. Così Gino viene adottato da una coppia di Ravenna, “i Farneti”, anche se i funzionari del Comune lo registrano come “Farnetti” e scrivono questo cognome sui documenti. Gino vive a Ravenna la sua adolescenza e arriva all’età adulta: “Sono molto grato ai Farneti, anche se nel tempo ho maturato sentimenti contrapposti. Volevo scoprire le mie origini, la mia vera identità, ma nello stesso tempo avevo paura di ferire i miei genitori adottivi, loro erano la mia famiglia“.
Passano gli anni e la verità sulle origini di Gino arriva nel 2009, grazie alla signora Rondinelli, un’insegnante di Bagnocavallo che si appassiona alla vicenda del “bambino in divisa” e, attraverso alcune ricerche, riesce a risalire alla famiglia nativa di Gino.
Solo nel 2012 Gino Bragaglia, Birgaglia, Farneti, Farnetti riesce a ricostruire la propria identità, il puzzle della sua vita, riceve il suo vero certificato di nascita e i veri documenti. Visita il luogo dov’è stato ritrovato dai soldati e la tomba della madre naturale. Oggi si firma Gino Farnetti: “L’emozione più grande è stata quella di rivedere la casetta dove sono nato. Ricordo un pendio dove andavo a prendere le fave e quando l’ho rivisto mi sono commosso“.