«Trieste è bella di notte», la rotta balcanica raccontata a Ravenna

La rotta balcanica è ancora un tema di nicchia. Di quel che succede a migliaia di migranti che arrivano in Italia da Paesi come il Pakistan e l’Afghanistan si sa ancora troppo poco, se non tra gli addetti ai lavori. Per questo, ma anche per aprire la riflessione in queste ore calde, in cui la conversione in legge del decreto Cutro tiene banco e preoccupa chi ha ogni giorno le mani e la testa nell’accoglienza, la Cooperativa sociale Cidas inaugura oggi una serie di iniziative di sensibilizzazione pensate per l’intera comunità. Si inizia oggi alle ore 18 alla Sala Mariani di Ravenna (via Ponte Marino 19) con la proiezione gratuita del documentario «Trieste è bella di notte», per la regia di Matteo Calore, Stefano Collizzolli e Andrea Segre (tutti i dettagli qui). A parlarne è Francesco Camisotti, che per Cidas è il responsabile del settore Società e diritti e che, dopo la proiezione, sarà presente al dibattito.

Camisotti, in che clima avviene l’iniziativa di questa sera?
«In un clima di grande apprensione. Stanno succedendo cose gravissime e noi che lavoriamo nell’accoglienza sentiamo davvero l’urgenza di parlare alle persone, di raccontare perché le leggi rischiano di interrompere il percorso di inclusione di migranti che hanno, alle spalle, vissuti pesanti in termini di violazione dei diritti umani».

In questo senso, che cosa si può raccontare la rotta balcanica?
«Innanzitutto, quando si parla di migranti si pensa solo alla rotta mediterranea, quando invece moltissime delle persone che seguiamo sono entrate in Italia dalla Slovenia, dopo aver attraversato i Balcani. Secondo, approfondire la rotta balcanica significa soffermarsi sul tema dei respingimenti illegali ai quali i migranti vanno più e più volte incontro, respingimenti che ledono il diritto d’asilo».

Per chi lavora con richiedenti protezione internazionale e migranti, quando è presente «the game», ovvero il tentativo di oltrepassare i Paesi balcanici per entrare nei Paesi dell’Unione europea, nelle storie e nei vissuti?
«Moltissimo. Noi che siamo nell’accoglienza tocchiamo con mano quotidianamente le conseguenze di quel che succede su quella rotta, dai disturbi post-traumatici da stress agli esiti di tortura, elementi che complicano i percorsi di inclusione. Si tratta davvero di um tema delicato, al quale porre costante attenzione».

Il rischio di tornare a gestire l’immigrazione come una mera emergenza e di abolire alcuni diritti, andando dunque a toccare il sistema dell’accoglienza, rischia secondo lei di far sentire ai migranti, ancora una volta, di essere respinti anche se arrivati ormai in Italia?
«Assolutamente sì. Secondo noi, l’abolizione della protezione speciale condannerebbe migliaia di persone all’illegalità e alla ricattabilità. Inoltre, si andrebbe a distruggere il Sistema Accoglienza Integrazione (Sai), da molti chiamato ancora Sprar, costringendo i richiedenti protezione internazionale a essere parcheggiati in centri con la sola garanzia di vitto e alloggio, e senza tutti i servizi che invece stiamo mettendo in campo per provare a rendere le persone davvero autonome, incluse, integrate. Tutto questo non farebbe che aumentare le vulnerabilità e, di conseguenza, anche la tensione sociale».