
“Se corriamo sudiamo e ci viene il fiatone. A occhi chiusi non vediamo niente. Non sappiamo volare. Per capire le cose dobbiamo studiarle. Per sopravvivere dobbiamo mangiare e bere. Per questo accogliamo o dovremmo farlo: per esclusione, perché non c’è un solo motivo per cui dovremmo fare una cosa diversa. Perché in qualche modo stiamo affogando anche noi, insieme a loro, ogni volta in mezzo al mare”. Nel libro di Saverio Tommasi “Troppo neri” (Feltrinelli), ci sono almeno tre cose importanti: le foto di Francesco Malavolta, poetiche, epiche, potentissime. E poi l’urgenza e la necessità di dire da che parte si sta, di essere definitivi: “Volevo marchiare il territorio, arrabbiarmi per sempre”. Infine, ma ci potrebbero essere altre mille ragioni per leggerlo, l’umanità. Un’umanità richiamata anche con l’ironia, come quando un neonato venuto al mondo su una nave umanitaria viene paragonato, sbeffeggiando i detrattori, a un terrorista che è riuscito a entrare in Europa camuffato da bambino, con la complicità di un soccorritore.
Ci sono moltissimi bambini, in questo viaggio attraverso le parole dell’immigrazione, parole che bruciano da morire. Come pacco, che richiama l’immagine di una bambina alla quale la madre, con lo scotch in polipropilene, appiccica al petto e alla schiena due scatole di polistirolo, che forse potrebbero tenerla a galla in caso di naufragio dalla Turchia a Lesbo. Come pannolino, che a cambiarlo a casa nostra c’è tutto un rito di creme e salviette, ma sulla rotta Balcanica è tutta un’altra storia. Come cravatta, perché esiste una foto scattata al porto di Lampedusa in cui un migrante riesce ad arrivare a destinazione vestito con giacca e cravatta, e un’università inglese ha fatto sapere che se arrivassero tutte eleganti sui barconi, le persone non si spaventerebbero, maledette apparenze.
Si lotta non solo contro il razzismo e l’idea del pull factor, contro i porti chiusi e le leggi che non rispettano i diritti umani, in questo libro, ma anche contro l’ipocrisia. “Non piangete, se siete fra quelli che ‘eh, ma anche gli italiani sono in difficoltà’. Non piangete se siete tra quelli che ‘non possiamo accoglierli tutti’. Non piangete se ‘io non sono razzista ma…’. Non vi permettete di piangere, se ‘prima gli italiani’”. Si può sfogliare mille volte, questo libro, mentre ci ricordiamo della pagella trovata nella tasca del ragazzo del Mali annegato il 18 aprile 2015 mentre sognava di arrivare in Europa e di poter dimostrare di essere bravo; mentre ci rimbombano in testa le centinaia di sacchi neri da morto con cui, in Sicilia, ci si attrezza per far fronte al numero di persone annegate; mentre qualcuno pensa ancora che “arrivano qui muscolosi e con l’Iphone in mano”. Mentre Dostoevskij – lo cita Tommasi – ci ricorda che “abbiamo pianto un poco, poi ci siamo abituati. A tutto si abitua quel vigliacco che è l’uomo”.