«Sognando Beckham»: contro la ghettizzazione, largo alle giovani donne

La giovane Jess, sikh di origine punjabi, è una calciatrice prodigio. Così Jules Paxton (Keira Kentlhey) biondo fenicottero sdraia-difese di sua Maestà, la porta nella sua squadra, dove l’allenatore Joe (Jonathan Rys Meyers) le regala il primo amore e il trampolino per il professionismo. C’è un però: la sua famiglia ha l’orticaria per il football e per tutte le usanze occidentali. Per cui gli ha già segnato la strada del matrimonio rigorosamente indiano, come la sorella maggiore Pinky. Ma l’unico uomo che Jess adora è il Re Sole del football inglese: David Beckham. Ed è disposta a rinnegare senza esitazioni il mandato familiare per emularlo.

Così Gurinder Chadha soprese i botteghini mondiali nel 2002, firmando la sua (prima) success story multietnica Sognando Beckham (tit. originale Bend it like Beckham). Una lettera d’amore alla seconda generazione immigrata in Inghilterra che rompe il guscio delle tradizioni e sgomita per affermarsi, mettendo il talento individuale davanti allo sprezzo sociale.

Per di più, in un tempo in cui il calcio è (diventato) speculazione affaristica col pretesto della competizione, Chadha ci costringe a (ri)scopre la passione amatoriale, senza frontiere per lo sport: Jules e Jess sanno che la palla affratella tutti, infischiandosene delle differenze etniche e di classe, e sanno anche “tirarla come Becham” (questo vorrebbe, più o meno, il titolo originale di là dalla solita storpiatura nostrana). Così scoprono amore, amicizia, tradimenti, speranze e un desiderio affratellante che spalanca le porte dell’America.

Commedia colorata che tiene insieme prodigiosamente più micro-generi, coccola, però, troppo ingenuamente il mito della self made woman, e si abbandona a una certa, macchiettistica rappresentazione della cultura indiana, enclavizzata in Little Indias incapaci di aprirsi al diverso.  Ma per due quasi ore, con la fotografia sgargiante di Jong Lin e la scenografia palettata di Nick Ellis e Sarah Neighbour, intrattiene, diverte, dibatte e convince. Perché il bersaglio è chiaro ed è centrato brillantemente: contro la tendenza alla ghettizzazione della nostra società, largo a tutte le giovani donne che abbattono le barriere culturali, il conformismo e certi, svilenti, stereotipi di genere. Postilla finale per la scelta pregevole di mostrare, accanto ai titoli di coda, i lavoratori del film. Per dire in parole cinematografiche che una pellicola non è (solo) del regista, ma anche di tutti quelli che permettono al regista di esserlo.