No, non è un ristorante di lusso, ma solo un centro di accoglienza per minori stranieri non accompagnati.
No, l’igiene della cucina non è come quella dei locali stellati, ma alla fine nemmeno poi così male rispetto ad altre comunità.
Sì, l’impiattamento conta eccome. Perché non è che se sei un migrante puoi vivere di scatolette, anche tu hai diritto a mangiare bene. E quando ti siedi a tavola, anche l’occhio vuole la sua parte.
Sì, avere fiducia l’uno nell’altro mentre si cucina è importante. Anche riconoscersi un ruolo, valorizzarsi, affidarsi. Perché quando si sfila nella sala mensa con l’arrosto al rosmarino preparato a più mani, è lo spirito di squadra che ne fa il profumo, il significato, il successo.
«Sì, chef! La brigade» di Louis-Julien Petit è un film che smonta, mentre ci fa sorridere, tantissimi muri. Li smonta attraverso il volto della chef Cathy (Audrey Lamy), inizialmente inorridita dal suo nuovo incarico nel centro di accoglienza (lei che pensava che l’offerta di lavoro fosse per un ristorante alla portata delle sue ambizioni) ma, poco a poco, sempre più a suo agio con quei ragazzi in attesa dei documenti, alle prese con lezioni di francese, controlli radiologici per l’accertamento dell’età, prefetture e partitelle di calcio.
«Sì, chef!», mano a mano che la cucina di Cathy si aprirà al diverso, al nuovo, al disordine e all’imprevedibile, diventando un cuore pulsante di voci, sguardi, lingue e storie, sarà l’urlo motivante di un gruppo di ragazzi in cerca di futuro, che ritroveranno non solo un senso comune del fare, ma anche i profumi delle loro terre e della terra che li accoglie, così come la voglia di esserci, fosse anche solo per preparare l’ennesima banale cena per i loro compagni di comunità.
E mentre gli occhi di Cathy si inteneriscono e addolciscono, mentre i suoi ricordi di bambina cresciuta senza genitori si rianimano anche attraverso il cibo, proprio come fu per Proust la madeleine, la sua brigata soffrigge e sminuzza, frulla e manteca, salta e farcisce. Fin dalla terra, da quelle verdure raccolte con le mani che diventeranno contorni, salse, condimenti.
E tutti i ragazzi, in quella cucina, avranno un compito, un volto, e soprattutto un nome.