Shabnom Pathan ha 26 anni e viene dal Bangladesh. Arrivata in Italia con la sua famiglia quando aveva 12 anni, si è laureata l’anno scorso alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Ravenna. Lavora come mediatrice linguistico-culturale da quatto anni.
Ha studiato e lavorato contemporaneamente per l’intero periodo che ha preceduto il conseguimento del titolo.
«Il mio è un mestiere che adoro. Mi ha arricchita tantissimo a livello umano e professionale. Grazie a questo ruolo sono maturata e cresciuta. Ho imparato a esercitare la calma e a essere neutrale. Ho capito che bisogna guardare le cose da diversi punti di vista, senza entrare in conflitto con l’altro. Nel tempo ho appreso come esercitare l’empatia e sono arrivata alla conclusione che non va bene esprimere giudizi sulle scelte e le abitudini delle altre persone».
Shabnom ha in carico molte mediazioni perché sono poche le mediatrici della sua nazionalità, nonostante in Italia arrivino più di 6.000 persone all’anno (6.467 sono i bengalesi arrivati in Italia nel 2020 secondo i dati Istat). Al momento lavora nelle scuole tramite la cooperativa sociale Terra Mia. Per lei, è fondamentale affiancare la mediazione culturale a quella linguistica: «Il mio non è solo un lavoro di traduzione. In questo caso farei l’interprete. Molto importante, infatti, è aggiungere anche la mediazione culturale, perché tante sono le differenze tra la nostra cultura e quella italiana, per questo motivo troppe volte si rischia di essere fraintesi».
La mediatrice racconta come la scuola in Bangladesh sia molto diversa rispetto alla nostra. A parte il fatto che alcune materie non ci sono, è il rapporto tra genitori, maestri e alunni che fa la differenza: «Nel mio paese c’è una grande fiducia nei confronti degli insegnanti, l’educazione dei bambini viene affidata a loro, con grande stima e rispetto per il ruolo che svolgono. Durante l’anno scolastico ci sono pochissimi incontri tra genitori e maestri. Questo è dovuto al fatto che non se ne sente l’esigenza, non perché le mamme e i papà siano disinteressati al percorso scolastico dei figli. Fare questa precisazione è fondamentale perché, a volte, se un bambino straniero non fa i compiti o i suoi famigliari non vanno alle riunioni, c’è dietro una differenza culturale. In simili circostanze è importante che ci sia io a scuola a spiegare questa diversità».
Shabnom sottolinea come il percorso per cambiare le proprie abitudini sia molto lento. Lei stessa ammette che in Bangladesh le ragazzine non vanno fuori la sera e, trascorsi alcuni anni dal suo arrivo in Italia, le sembrava ancora strano che i suoi coetanei le chiedessero di uscire dopo cena: «Rispondevo che io c’ero di giorno, ma di sera no. Ero abituata così. Non erano i miei genitori che mi impedivano di uscire».
Quello che più le piace del suo lavoro è il fatto di incontrare sempre nuove persone. La sua è una attività dinamica. Negli anni sono nate belle amicizie: «Il lavoro di mediatrice linguistico-culturale è un punto di riferimento nella mia vita e io so di essere una figura importante nella scuola. Senza di me i bambini e i genitori del mio paese farebbero molta fatica a interagire con gli insegnati e viceversa».
Shabnom ancora non sa cosa vuole fare in futuro. Le piacerebbe continuare a studiare, senza abbandonare il lavoro di mediatrice.
In Bangladesh ha molti parenti e, anche se è molto contenta di essere in Italia, rimane affezionata alla cultura del suo paese. Il lavoro che fa le permette di aiutare chi arriva e, nello stesso tempo, le consente di restare in contatto con la lingua nativa e le sue tradizioni.