Sbarco della Ocean Viking, siamo tutti «fili d’erba in un prato»

C’è un mare piatto a Porto Corsini, il sole di dicembre e i pescatori appena all’inizio del molo.Sembra una giornata qualunque, anzi un tiepido e inaspettato ultimo dell’anno. Di quelli che dici dai, andiamoci a fare una passeggiata in spiaggia, perché il mare è bello anche d’inverno.

Su Google guardiamo a che punto è la Ocean Viking, se è vero che attraccherà alle 12 o un po’ più tardi. C’è un puntino che si sposta sulla mappa nella nostra direzione, sempre meno al largo dell’Adriatico e sempre più vicino alla banchina dove attendiamo emozionati.

E poi eccola arrivare, la nave di Sos Méditerranée che abbiamo visto solo su Internet, quella che da qualche giorno avanza per raggiungere il porto di Ravenna. Sembra impossibile che ci siano dentro 113 persone da accogliere, è così silenziosa mentre si avvicina.


Immobili sul molo mentre aspettiamo di poter essere in qualche modo utili, forse ci sentiamo come fili d’erba in un prato. Zerocalcare viene in aiuto per spiegare quella sensazione di essere così piccoli davanti a un’immensità ma allo stesso tempo parte di qualcosa che dobbiamo e vogliamo fare funzionare.


C’è M., tre mesi, che non riesco ad addormentare nemmeno con il kanga improvvisato che mi sono legata addosso. Sua madre è troppo stanca, le bruciano gli occhi, vorrebbe solo lavarsi e dormire. Ma la bambina non si calma, solo quando sente il contatto della mamma smette di urlare. C’è M., due anni, che ha sonno e fame e si affida a me e a noi mentre la mamma, 17 anni, passa dalla postazione della Questura per il fotosegnalamento. E poi un altro bimbo che senza pannolino se l’è fatta sotto e ha i piedi gelidi. Come sono grandi questi vestiti che gli mettiamo addosso alla meno peggio. Chissà cosa pensa di tutte queste facce che provano a consolarlo, dopo tanti giorni in mare.

E poi gli occhi sbarrati di una donna giovanissima, che fissa il vuoto nella confusione del tendone del terminal crociere. Difficile dimenticare quello sguardo. Forse non esiste nemmeno una parola per definirlo.

Quante ciabatte, oggi. Quanti piedi freddi. Quanti occhi neri che non sanno cosa aspettarsi.

C’è un leggero sorriso nello sguardo di un bambino che mi arriva al petto, in attesa fuori dal box della Squadra Mobile. «J’ai dix ans, je m’appelle M. Je suis ici avec mon frère, il a dix-neuf ans». Dieci anni, solo. Con il fratello di 19. C’è qualcosa da aggiungere?

Si vaga tra una traduzione, una parola di conforto, tra coperte e pasti caldi che si stanno raffreddando. Ci sono tute contro la scabbia, teli termici, calzini che dovrebbero togliere il di dosso l’umidità di un’altra notte in mezzo all’Adriatico.

Ci si sente comunque inadeguati, comunque non all’altezza. E forse non dovremmo nemmeno provare a esserlo, perché qui non c’è alcuna posizione di potere da rimarcare. C’è solo la storia del mondo, che è andata così. La vita, che fa come le pare. E noi, tutti sullo stesso piano, a provare a sentirci più umani, meno inutili, più partecipi, più uniti, chissà. E a stare, ancora una volta, dalla parte giusta.. Perché non c’è dubbio che questa sia la parte giusta.