Sawera: «Fare la mediatrice significa anche gestire le emozioni»

Sawera Ilyas ha 21 anni e il suo paese di origine è il Pakistan. È arrivata a Ravenna nel 2007 e in Italia ha conseguito il diploma di scuola superiore. La sua famiglia ha deciso di trasferirsi perché il papà lavorava qui già da alcuni anni.

«Mi sento più italiana che pakistana, forse perché sono arrivata quando ero piccola e ho fatto qui tutte le scuole. I miei amici sono italiani. Ogni tanto torno nel mio paese, soprattutto in occasione di matrimoni e per salutare i parenti».

Sawera racconta come dentro di lei coesistano due culture. La sue radici sono ben radicate: ascolta musica pakistana, d’estate indossa abiti tipici del suo paese, perché le piacciono i tessuti leggeri con cui sono realizzati. In occasione di feste tradizionali decora le mani o i piedi con l’henné; hanno una durata di due settimane e li considera come i tatuaggi che i coetanei si fanno qui in Italia.

Sawera fa mediazione con gli assistenti sociali del Comune di Ravenna e, da ottobre 2021, lavora per Terra Mia nel ruolo di mediatrice linguistico-culturale urdu, la lingua ufficiale del Pakistan e punjabi, un dialetto parlato anche in India. Si trova bene nella cooperativa, ci sono tante ragazze con cui ha fatto amicizia e lei è una delle più giovani.

«La cosa che mi piace di più del mio lavoro è ascoltare le storie delle persone. Invece, l’aspetto più impegnativo, è gestire le proprie emozioni. Il mio è un lavoro delicato. Spesso mi trovo di fronte a contesti complicati a livello umano. Devo tradurre solo quello che viene chiesto nella domanda ma, a volte, la persona dice qualcosa in più che mi scatena sentimenti contrapposti. Io mi ritengo fortunata perché sono arrivata con la mia famiglia, ma c’è gente che vive delle situazioni dolorose, e in queste circostanze, è molto difficile rimanere distaccati».

Sawera ha avuto esperienze di mediazione anche con i minori stranieri non accompagnati, lavorando all’interno del progetto Sai (Sistema Accoglienza e integrazione).  I ragazzi hanno per lo più tra i 15 e i 17 anni e arrivano da soli, alla ricerca di un lavoro per mandare i soldi ai parenti rimasti nel paese d’origine: «Sono molto più maturi della loro età e, a volte, non è semplice trovare le parole giuste per tradurre la loro sofferenza. All’inizio è molto difficile vivere in questo paese senza avere contatti frequenti con i genitori e sapere come stanno. Conoscere la cultura di provenienza è comunque un elemento fondamentale per capire la persona, comprendere bene quello che sta dicendo, perché le motivazioni di certi comportamenti si trovano lì. Dietro una lingua ci sono tanti fattori che entrano in gioco».

Sawera a volte con la sorella parla italiano, mentre quando si rivolge ai genitori usa spesso il dialetto. La sua famiglia è musulmana praticante: «Mi piace fare il Ramadan, fa parte della mia tradizione religiosa. Anche la festa che segue il digiuno e quella dove si uccide l’agnello alcuni mesi dopo, sono parte integrante della mia cultura».

Per il suo futuro pensa di rimanere in Italia, perché ormai è qui da tanto tempo e si è abituata al nostro modo di vivere. Spera di avere la possibilità di continuare a fare la mediatrice visto che è un lavoro che le dà soddisfazione, le permette di stare in mezzo alla gente e vivere in prima persona le storie di chi incontra.