Gennaro Spinelli: «E se ti dicessi che sono Rom?»

Gennaro Spinelli

Per la maggior parte degli italiani vale l’espressione matematica rom=zingaro. Ma siamo proprio sicuri che la realtà sia questa? Lo chiediamo a Gennaro Spinelli, una persona colta, aperta, difensore dei diritti di tutti.
Gennaro, il suo nome sembra tipicamente italiano, ma in realtà lei appartiene a un popolo molto discusso e discriminato. Ci racconti…
«Mi piace presentarmi in questo modo. Sono Gennaro Spinelli, un cittadino italiano di etnia Rom. Gennaro in quanto avente un nome come persona singola, Spinelli come portatore di una famiglia, di una storia e di certe tradizioni, cittadino italiano avente diritti e doveri dello Stato italiano di etnia Rom. Ho quindi una cultura in più, non in meno, parlo una lingua in più, non in meno, non ho assolutamente nulla in meno rispetto alla mia italianità, ma apporto tradizioni, emozioni, qualcosa in più di ciò che io sono. Sono nato in Italia, siamo italiani e le culture romanesc sono italiane, i Rom e i Sinti sono italiani, presenti in Italia da oltre sei secoli, da molto prima che l’Italia fosse Italia, da molto prima che molti italiani si reputassero italiani, poi esistono anche i Rom legati all’immigrazione, che sono arrivati con le guerre dei Balcani dalla ex Jugoslavia, che oggi vengono in Italia da profughi, non da nomadi. E questo è il problema: oggi si sono creati campi nomadi, che nomadi non sono. Sono campi profughi in cui quando le persone devono essere aiutate sono tenute segregate, con l’idea di una presunta vocazione nomade. E molti, su questo, ci guadagnano».
Avendo studiato in Italia, è mai stato discriminato, a scuola, per le sue origini?
«Ho studiato in Italia, ho frequentato il Conservatorio a Pescara, così come Lingue e Letterature Straniere all’Università. I ragazzi Rom entrano a scuola con la consapevolezza di essere Rom ed escono con il marchio di essere zingari. Il primo razzismo si subisce a scuola, è il posto più terribile perché da piccoli non si sa proprio come rispondere, come affrontare le situazioni di discriminazione. Difficile, davvero, non capire perché gli altri ti considerino sbagliato».
Lei è un musicista e suona uno strumento meraviglioso, il violino. C’è un legame tra le sue origini e la scelta di questo strumento?
«Suono il violino che, sì, è uno strumento tipico delle comunità romanesc, ma non c’è nessuna correlazione tra le mie origini e il mio strumento perché la musica è qualcosa che trascende l’appartenenza etnica. La musica è emozione, l’emozione fa parte dell’essere umano e gli esseri umani sono tutti uguali».
Ha aperto la manifestazione a favore del Ddl Zan, a Milano, proprio suonando il violino. Quanto è importante a suo parere una legge che protegga da qualsiasi tipo di discriminazione e violenza, che essa sia legata all’etnia di appartenenza, all’orientamento sessuale o alla religione?
«Ho partecipato perché chi lotta per i diritti umani lotta per i diritti di tutti, ma soprattutto ci sono tantissimi ragazzi gay o lesbiche all’interno delle comunità romanesc che si devono isolare, scappare, a volte anche “smettere” di dire di essere Rom e Sinti perché le comunità stesse li disciminano. Con questa rivoluzione interna stiamo proprio legittimizzando, dando forza a questi ragazzi dicendo loro “siate voi stessi!” perché la discriminazione è brutta sia all’interno che all’esterno. Avere appoggiato il Ddl Zan ha significato appoggiare i diritti di tutti, che siano Rom o meno, perché se noi lottiamo oggi per i diritti delle persone LGBT, domani lottiamo per quelli degli ebraici, per quelli delle persone di colore e qualcuno lo farà per noi quando a noi servirà. Ovviamente non è solo questa la motivazione, ma il concetto è che aiutarsi all’interno delle minoranze è assolutamente essenziale».
A suo parere, chi discrimina lo fa con qualsiasi persona ritenga diversa?
«Assolutamente sì. Purtroppo l’essere discriminati oggigiorno è sempre qualcosa che esclude e non include. Naturalmente tanti anche di sinistra, che lottano in piazza per i diritti umani per le comunità LGBT, discriminano i Rom. A volte, anche chi va a combattere per i diritti degli immigrati discrimina i Rom. I Rom sono discriminati dall’83% della popolazione italiana, che li ritiene fastidiosi e soprattutto non vuole avere rapporti umani con loro».
Crede che diffondere una maggiore conoscenza degli aspetti positivi del suo popolo, la vostra cultura, la vostra musica, già a partire dalle scuole e dai bambini, possa aiutare a ottenere maggiore integrazione e maggior rispetto?
«Assolutamente sì. Valorizzare gli aspetti positivi è il modo principale per far cambiare idea alle persone e per dare una nuova narrativa rispetto alla nostra comunità, che oggettivamente non ha mai avuto il potere della controparola, cioè il diritto di risposta. C’è sempre stata una narrativa a senso unico, purtroppo; nessuno ha mai chiesto chi siamo. Solo ultimamente si è cominciato a fare qualcosa e le cose stanno poco a poco cambiando. Dunque, credo che questa sia la sola strada da percorrere».
Come si impegna, lei, per diffondere la sua cultura in modo positivo e per limitare le discriminazioni?
«Suono, scrivo libri, sono il Presidente di UCRI, l’Unione delle Comunità Romanesc in Italia. Abbiamo aperto l’Accademia Nazionale Romanì dove ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette, si possono imparare nozioni sulla storia, la lingua, l’arte, la cultura. Le nostre videolezioni e il nostro materiale didattico, completamente gratuiti, sono scaricabili dal sito www.accademianazionaleromani.it. Abbiamo scritto i vocabolari delle lingue romanesc, stiamo firmando un protocollo d’Intesa tra MIUR e UCRI per insegnare la cultura romanì nelle scuole, ci stiamo battendo perché venga riconosciuto il 2 agosto, il giorno del sabato Porajmos, l’olocausto dei Rom e dei Sinti. Quello che portiamo avanti è un discorso di cultura, di bellezza, di tradizioni, che mai è stato portato avanti. Questa è la nostra grande forza».