Referendum sulla cittadinanza, il presidente degli Ivoriani: «Un segno di speranza»

Ecco un’Italia che è riuscita a scrollarsi di dosso un velo di arretratezza e stavolta ha detto sì. Il quorum delle cinquecentomila firme è stato raggiunto e sarà sottoposto alla Corte Costituzionale. Il nocciolo della proposta del referendum riguarda la riduzione da 10 a 5 anni di residenza ininterrotta in Italia per avere la cittadinanza. Restano invariati gli altri requisiti quali la conoscenza della lingua italiana, il reddito, l’essere incensurati, l’avere adempiuto agli obblighi tributari, l’assenza di cause collegate alla sicurezza per la Nazione.

Un passo avanti che allineerebbe l’Italia alla normativa già in vigore in altri paesi europei come Svezia, Francia, Germania, Irlanda e Paesi Bassi, dove servono 5 anni di residenza continuata per avere la cittadinanza.

Theodore Gbola Noka, Presidente dell’Associazione degli Ivoriani a Ravenna, esprime la sua visione sul referendum e offre alcuni spunti di riflessione.

Theodore, che cosa significherebbe per lei, se a questo referendum vincesse il sì  e la nuova legge entrasse in vigore?

«Per me questa proposta è un segno di apertura, di speranza, un grande passo avanti. Vuol dire che il nostro paese si sta evolvendo verso una visione differente, con maggiore voglia di accogliere e impegnarsi per favorire l’integrazione dei suoi cittadini. Un modo per uniformarsi alla realtà di altri paesi europei, come Francia e Inghilterra, che hanno lavorato molto, a livello politico, sul fenomeno immigrazione e oggi si trovano in una situazione molto diversa rispetto alla nostra».

Può fare qualche esempio?

«Posso dire che a Londra, per un immigrato, non esiste il problema di trovare una casa, mentre qui è ancora una grossa piaga. Vivendo lì per alcuni anni ho percepito anche molto meno razzismo. Di recente mi è capitato di sentirmi dire da un agente immobiliare che il proprietario di casa non affitta ai neri. Mia figlia quest’estate al mare era con un gruppo di amici e sono arrivati dei ragazzi che avrebbero detto: ‘Andiamo via di qua perché ci sono troppi neri’- Questo referendum è la realizzazione di un sogno per chi ha fatto tanta fatica ad arrivare fin qui e cerca una nuova vita. Spero davvero che sia l’inizio di una nuova visione e un cambio di mentalità da parte della popolazione, ma che porti miglioramenti anche a livello istituzionale».

Oltre alla riduzione degli anni di residenza, cosa secondo lei sarebbe importante riformare?

«Secondo me, sarebbe importante rivedere la normativa sul permesso di soggiorno. I tempi per ottenerlo sono troppo lunghi. Alcune persone aspettano un anno e mezzo e dopo 6 mesi devono fare di nuovo la richiesta di rinnovo. E’ assurdo. Se vai a cercare lavoro ti chiedono il permesso di soggiorno. Se non ce l’hai, non lavori. E se non lavori non puoi trovare una casa. Se non trovi una casa finisci in un appartamento dove vivono altre 10 persone e ti viene proposto il subaffitto. Questo è un circolo vizioso, una condizione che purtroppo accomuna tanti immigrati che vivono nel nostro paese».

Che consigli può dare per tutelare le nuove generazioni, i figli degli immigrati che nascono in Italia?

«Un bambino che nasce qui dovrebbe avere in automatico la cittadinanza italiana, anche se magari i genitori hanno fatto richiesta, ma non l’hanno ancora ottenuta. Mentre adesso, se i genitori non hanno ancora la cittadinanza, un bambino deve aspettare di crescere, raggiungere il compimento dei 18 anni d’età per potere scegliere di diventare cittadino italiano. Penso che sia una situazione che vada riformata per dare a queste nuove generazioni i diritti di cui godono tutti gli altri bambini».