Ancora pochi giorni prima che il Ramadan giunga al termine per la comunità islamica “l’Umma” di tutto il mondo. Il Ramadan, che dall’arabo può essere tradotto come “grande calore” poiché in passato cadeva principalmente nei mesi estivi, segue in realtà il calendario lunare collocandosi sempre al nono mese. Ogni anno viene quindi celebrato in periodi diversi: quest’anno ha avuto il suo inizio l’11 marzo scorso e si concluderà il 9 aprile, poco dopo i festeggiamenti della Pasqua Cristiana. Ma cosa significa davvero questa pratica e cosa rappresenta per i Musulmani che la osservano? Lo chiedo a Mohamed Rachyd, marocchino di nascita e da tanti anni segretario delle relazioni esterne e interne del Centro di Cultura Islamica di Faenza. Supportato da altri colleghi del centro e dall’Imam – Guida religiosa e spirituale della loro comunità – mi spiega che il Ramadan, terzo pilastro dell’Islam, è un vero e proprio momento di vicinanza al creatore oltre che un obbligo religioso dalle indubbie proprietà benefiche sulla salute del corpo. Tutti i fedeli, ad eccezione dei bambini che non hanno ancora raggiunto la pubertà, i malati cronici o coloro che non si trovano in condizioni fisiche ottimali sono chiamati al digiuno “ṣawm” dalle prime ore dell’alba fino al tramonto, momento in cui esso può essere spezzato con il tradizionale pasto serale o Iftar.
Per circa trenta giorni i fedeli si ricongiungono ad Allah, rafforzando non solo la loro fede ma il senso di solidarietà, altruismo e vicinanza nei confronti di quanti soffrono la fame e versano in condizioni di povertà non solo in questo mese ma durante tutto l’anno. “Vivere nella privazione ci spinge a metterci nei panni di quanti soffrono, a dare di più per aiutare gli altri – mi spiega Rachyd – e questo ci avvicina al prossimo ma anche ad Allah”. La pratica del digiuno, comune anche ad altre religioni – basti pensare al Cristianesimo e il periodo di Quaresima – si unisce a un’astensione di tutti e cinque i sensi che includono tra le altre cose non bere acqua, fumare o avere rapporti intimi. Ma la tradizione islamica commemora un passaggio fondamentale vale a dire la prima rivelazione del Corano al profeta Maometto da parte dell’angelo Gabriele, evento che cade nella notte tra il 26esimo e il 27esimo giorno di Ramadan. “Laylat al Qadr” o “Notte del destino”, è una notte speciale per ogni musulmano Sunnita, una notte di rivelazione religiosa e sorvegliata dagli angeli e in Moschea a Faenza si respira un’aria di unione. Rachyd la descrive come un momento di preghiera e ovviamente si condivide il pasto al calar del sole, tutti insieme e tutti vicino ad Allah. Prosegue raccontando che il mese di Ramadan è un’occasione per raccogliersi non solo negli orari di preghiera consueti ma per cenare tutti insieme e recitare la preghiera di fine digiuno al tramonto o “maghrib” e quella della sera “isha”.
Nonostante il Centro Islamico abbia all’incirca 100 iscritti, tutta la comunità musulmana di Faenza e dintorni è invitata a partecipare, portando piatti tipici della propria cultura da condividere o semplicemente la propria presenza. La moschea è aperta a tutti sempre, senza differenze di provenienza o cultura ma tutti accomunati dalla fede islamica. Il Centro dispone anche di diversi gruppi volontari. Tra questi vi sono gli addetti alla preparazione del cibo per l’Iftar, coloro che distribuiscono pasti alle famiglie più bisognose e il gruppo che si occupa della logistica degli eventi sia interni che esterni rivolti alla comunità. Abdi Samad, responsabile della raccolta donazioni, conferma come tali eventi e il sostentamento dell’intero Centro Islamico, siano possibili grazie unicamente alle donazioni private che lui stesso gestisce. Tra i vari eventi spicca in particolare la rottura del digiuno organizzata in Piazza del Popolo a Faenza per diversi anni consecutivi e interrotta negli ultimi tre anni a seguito della pandemia prima e dell’alluvione che ha colpito L’Emilia Romagna poi. Ma quest’anno, raccontano sia Rachyd che Samad, il Sindaco di Faenza li sprona a riproporre ancora una volta questa serata fatta di apertura e incontro con la loro religione e che molto probabilmente vede come data potenziale il 2 aprile. Mettere a nudo parte della loro cultura, spiegare cosa significa fare Ramadan e condividere con la comunità italiana e straniera un momento di preghiera e l’Iftar tutti insieme, significa per loro uscire allo scoperto per un giorno vivendo l’Islam fuori dalle mura della Moschea e in piazza. È solo mostrandosi all’altro in maniera trasparente che arriva comprensione e accettazione di una realtà che spesso è temuta solo perché ignota. Al termine del periodo di Ramadan il Centro accoglie anche la festa finale, quest’anno il 10 Aprile, detta anche “Īd al-fiṭr” – piccola festa o festa del digiuno – per distinguerla da “īd al-aḍḥā” – grande festa o festa del sacrificio. In questa occasione i fedeli festeggiano tutti insieme il superamento del periodo di digiuno, ancora una volta mangiando e pregando in comunità rafforzati in spirito e altruismo.
L’intensità della loro fede trapela da questo racconto e quando chiedo se sia difficile mantenere viva la tradizione anche qui in Italia, lontani dal loro paese di origine, non scorgo nessuna esitazione: “Digiunare in questo periodo fa parte della nostra religione, della nostra cultura, non è affatto difficile; certo in Marocco sarebbe più bello e lì tutti lo praticano, ma anche qui noi portiamo avanti il Ramadan e viviamo questo mese nella normalità delle nostre attività quotidiane”. Sicuramente sapere la Moschea un luogo aperto dove preghiera, accoglienza e convivialità trovano ampio spazio, dà l’idea che questo mese di rinuncia, celi in realtà un profondo arricchimento umano oltre che spirituale.