Li definiscono “i loro dottori”, “i loro psicologi” e ne parlano con orgoglio: si tratta dei beneficiari del supporto psicologico di Approdi, un’associazione di volontariato che formalmente nasce nel 2017 a Bologna dall’incontro di operatori sociali, antropologi, psicologi e psicoterapeuti che avevano tutti operato nel mondo dell’accoglienza. L’associazione si occupa di aiutare migranti provenienti soprattutto dall’Africa che hanno alle spalle percorsi traumatici e che hanno subito ogni tipo di violenza durante il loro viaggio migratorio per raggiungere l’Italia: «Quando un percorso funziona, vediamo queste persone rifiorire, riappropriarsi della propria vita e sviluppare risorse. Ci paragonano a dei guaritori, figure con le quali talvolta svolgiamo un lavoro congiunto – spiega il presidente di Approdi, Diego Manduri -. Non ci presentiamo come psicologi, almeno non all’inizio, perché per molti questa figura non fa parte della loro cultura. In molti Paesi, infatti, solo se sei matto vai dallo psicologo, e se ti viene dato questo stigma poi non puoi più liberartene. Con il tempo comprendono il significato del nostro lavoro e ne sono riconoscenti».
Il percorso di supporto psicologico di Approdi affonda le sue radici nell’etnopsichiatria francese: «Il nostro è un dispositivo complesso. Si tratta di un intervento di gruppo: un insieme di persone, con una specifica formazione, accoglie il beneficiario che richiede aiuto. Quasi mai facciamo incontri uno a uno; da molti questo confronto è percepito come allarmante, invece il gruppo si pone come guida, permette il riconoscimento e crea un senso di appartenenza. Il cerchio viene vissuto come rassicurante. Durante il primo incontro ci presentiamo, cerchiamo di far capire alla persona che siamo lì per vedere se possiamo fare qualcosa per lui. L’unico metro di misura riguarda l’utilità o meno che la persona può trarre da questi incontri. Il nostro intervento funziona quando l’altro comincia a stare meglio».
Difficoltà a dormire, ansia, tristezza alcune delle motivazioni che portano i migranti a un consulto: «Partiamo sempre dalle problematiche che loro ci portano; la sintomatologia riguarda quasi sempre la sfera fisica. I beneficiari manifestano mal di pancia, mal di testa; spesso ci riferiscono problemi del sonno o di avere sempre paura. Le fasi dell’intervento si concentrano, prima di tutto, sul ridurre lo stato di allarme e nel far aumentare il senso di sicurezza del sé e di quello percepito nelle relazioni e nei contesti in cui queste persone vivono. Importante è anche far emergere o riemergere le risorse di ognuno così che queste possano essere utilizzate nel quotidiano, al fine di ricominciare a progettare e a costruire».
L’associazione opera a Bologna e collabora sia con gli enti pubblici che con quelli privati del territorio: «Sempre più realtà ci chiedono di portare avanti progetti in maniera congiunta. Durante la pandemia abbiamo attivato il nuovo progetto “Here for you”, in collaborazione con Unicef e Arci, che offre supporto psicologico a distanza».
I beneficiari hanno provenienze differenti: «Arrivano dagli enti di accoglienza, alcuni dai Servizi Sociali, alcuni ci contattano spontaneamente, magari perché ne hanno parlato con un amico».
Oltre a psicologi e psicoterapeuti, il team si avvale di altre figure di riferimento: «Anche in questi due anni gli incontri si sono svolti in presenza con il supporto di un infermiere che dà informazioni riguardanti il Covid e con i mediatori culturali e linguistici che ci permettono di accedere al mondo dei beneficiari. Quando il beneficiario raggiunge una condizione più stabile, inizia una seconda fase del nostro intervento che si apre alla narrazione attraverso le immagini dell’approdo, per poter narrare l’inenarrabile. Si tratta di un momento di rielaborazione».
Sono soprattutto uomini, di età compresa tra i 15 e i 50 anni, gli utenti che si rivolgono ad Approdi: «Le caratteristiche anagrafiche rispecchiano quelle delle rotte migratorie verso l’Italia, dove arrivano soprattutto persone di sesso maschile e generalmente giovani».
In questi anni le persone seguite sono state tantissime: «Facciamo più o meno 40 incontri a settimana e le prese in carico possono durare qualche settimana o qualche anno a seconda dei bisogni delle persone. Alcuni di loro sono venuti a fare lezione con noi all’Università e hanno raccontato il loro percorso, la riscoperta di sé e la consapevolezza sviluppata riguardo alle proprie risorse e possibilità».