Migranti e partecipazione, si può fare molto di più. Due ricerche in Emilia-Romagna

Partecipare, che deriva dal latino pars, ossia parte, più capere, ovvero prendere, è il verbo che ha dominato il convegno tenutosi a Bologna il 15 novembre scorso sul tema della partecipazione dei cittadini stranieri alla vita pubblica in Emilia Romagna. Durante l’evento sono stati illustrati i risultati di due importanti ricerche finanziate dal FAMI (Fondo Asilo Migrazione e integrazione) dal titolo «Costruendo Partecipazione» e «Esperienze di Rappresentanza e Partecipazione» (di seguito i link per leggere i testi completi di tutti i dati).

https://sociale.regione.emilia-romagna.it/documentazione/pubblicazioni/prodotti-editoriali/2022/costruendo-partecipazione
https://sociale.regione.emilia-romagna.it/immigrati-e-stranieri/temi/richiedenti-asilo-e-rifugiati-1/esperienze-di-rappresentanza-e-partecipazione-interculturale-in-emilia-romagna

Negli ultimi anni l’importanza di una società inclusiva è diventata oggetto di discussione all’interno delle amministrazioni pubbliche, che cercano di costruire un consenso che sia sempre più comprensivo dei vari gruppi di appartenenza. «Non avevamo dati da cui partire per studiare la dimensione partecipativa dei rifugiati e dei richiedenti asilo in Emilia-Romagna, quindi ci siamo detti che era indispensabile parlare con queste persone per capire cosa avevano da dirci». Lo spiega Giacomo Prati, Program Menager di ANCI Emilia Romagna (Associazione Nazionale Comuni Italiani) che ha seguito il progetto di «Costruendo Partecipazione» e condotto il convegno.

Le indagini sono state realizzate tramite la somministrazione di questionari che i rifugiati hanno compilato anche grazie all’aiuto degli operatori dei centri di accoglienza. Il ruolo fondamentale del personale dei centri SAI (Sistema di Accoglienza e Integrazione) è emerso proprio dalle risposte degli intervistati, che hanno dichiarato come gli operatori dell’accoglienza siano le prime persone fidate a cui chiedere aiuto in caso di bisogno. «Mentre il rapporto con la politica è risultato conflittuale, infatti la maggioranza ha purtroppo ammesso di non riporre fiducia nei partiti, un gran numero di persone – continua Prati – ha dichiarato di essere interessato ad approfondire la conoscenza della cultura e del territorio italiano, senza perdere il desiderio di una valorizzazione delle tradizioni del proprio paese».

Tra le attività sociali di maggiore interesse spiccano le attività formative (corsi per inserimento nel mondo del lavoro), di volontariato ( es. raccolta di rifiuti in spiaggia), sportive (es. partite di calcio) e ricreative, organizzate anche a livello comunale ( es. cene multietniche).

Appare chiaro come molti degli intervistati partecipassero a eventi organizzati dalle associazioni religiose o di volontariato anche nel paese d’origine, confermando il vivo interesse da parte dei rifugiati a essere coinvolti qui in Italia in attività di tipo associazionistico.

«Il tema della partecipazione sociale prima di queste indagini era un argomento ancora troppo poco approfondito, ora che abbiamo dei dati vogliamo mettere in pratica ciò che emerso, come per esempio, costruire una rete di collegamenti tra i centri SAI e le associazioni sportive e di volontariato, perché abbiamo capito che gli immigrati hanno voglia di essere coinvolti e questo coinvolgimento diventa un strumento importante per i processi di integrazione», continua Giacomo Prati.

Se l’associazionismo fondato dalle persone straniere risulta essere un universo assai complesso sia come composizione che come organizzazione, si assiste negli ultimi anni a un tentativo di allargare la partecipazione anche nei confronti delle persone autoctone o comunque di provenienza diversa. Questo è dovuto in parte ai cambiamenti normativi (come la necessità di iscriversi nel Registro Nazione dal Terzo Settore), che hanno portato le associazioni degli immigrati a chiedere aiuto all’esterno per adempiere ai nuovi doveri legislativi e, in parte, al fatto che le nuove generazioni di stranieri hanno un’identità più fluida, nel senso che mantengono la cultura di origine ma sono più aperti a conoscere gli usi e i costumi del paese in cui attualmente vivono. Si nota anche un’apertura dei rapporti e delle relazioni tra associazioni diverse, cosa che che anni fa era poco frequente.

 Le Consulte, d’altra parte, hanno mostrato la loro difficoltà a rappresentare la nuova composizione sociale della migrazione anche per la sua eterogeneità. Si è cercato di incrementare la partecipazione dei cittadini stranieri aumentando le connessioni tra le associazioni e l’amministrazione locale. Quello che salta all’occhio è una nuova idea di rappresentanza che passa da un approccio multiculturale (le comunità nazionali sono rappresentate dalle associazioni e dai loro rappresentati) a un approccio interculturale, focalizzato su processi interattivi tra associazioni diverse e le pubbliche istituzioni. Attualmente sul territorio regionale non c’è un modello prevalente di partecipazione e rappresentanza dei cittadini stranieri, ma è presente una pluralità di esperienze che la inquadrano.

«Queste ricerche hanno messo in luce gli aspetti positivi ma anche quelli su cui lavorare per una partecipazione effettiva degli stranieri alla vita pubblica e sociale – afferma Giacomo Prati -. Siccome il fenomeno migratorio è complesso e soggetto a cambiamenti nel corso degli anni, quello che occorre è un coordinamento generale a livello regionale, in modo che le politiche d’integrazione degli enti locali trovino una organizzazione comune dentro la quale operare per la valorizzazione delle diversità».