Si chiama Benedito Ovídio Da Silva Pereira, in arte «Mestre Dito», come lo chiamano i suoi allievi di capoeira. Ventidue anni fa è arrivato in Italia dal Brasile per andare a trovare un amico che abitava a Perugia. Nel suo Paese faceva il poliziotto e, nello stesso tempo, praticava la capoeira nella scuola Coquinho Baiano. Nei mesi successivi decide di restare in Italia e allargare il gruppo della sua scuola di provenienza, prima a Ravenna e poi a Bologna. In pochi anni Coquinho Baiano apre palestre in varie città dell’Emilia Romagna: «Italia Chama Brasil è un’associazione fondata a Ravenna nel 2004 con lo scopo di diffondere la lingua, la cultura brasiliana e la pratica della capoeira.
Grazie a una collaborazione con il Comune, abbiamo lavorato con bambini delle scuole elementari, medie e superiori. La pandemia ha bloccato gran parte dei nostri corsi, adesso ci auguriamo di ricominciare presto tutte le attività».
Mestre Dito confessa di amare molto la cucina italiana, ma di non sopportare il clima: «Se avessi saputo prima che faceva così freddo, non sarei partito – dice sorridendo -. Anche il ritmo di vita è diverso: in Brasile le persone sono più rilassate. Spesso, dopo il lavoro, si trovano in un locale per ascoltare della musica, mentre qui succede con minor frequenza»
La passione dei brasiliani per la capoeira ha origini antiche. Il nome richiama l’erba bassa del sottobosco, dove si radunavano gli schiavi africani scappati dalle piantagioni dei colonizzatori portoghesi: «Prima di tutto la capoeira era una forma di addestramento che allenava alla fuga. Un insieme di mosse, mescolate a passi di danza, per non essere scoperti dai padroni. Nel tempo si sono aggiunte acrobazie, canti e musica, ma non è corretto definirla solo una danza, perché contiene in sé il principio della lotta e del combattimento. Oggi è parte integrante della cultura brasiliana»
Il 3 giugno Mestre Dito sarà presente al Festival delle Culture per l’esibizione di capoeira assieme al gruppo della sua associazione: «Per cominciare, i capoeristi formano un cerchio pieno di gente, poi le persone cominciano a sfidarsi in gruppi di due alla volta, si muovono in una serie di mosse uniche e affascinanti. Questa forma particolare di lotta è a ciclo continuo, inizia ma non finisce. Inoltre, non c’è spirito di competizione, ma prevale quello comunitario. Evita il contatto fisico diretto, perché non ci sono gesti aggressivi».
Mestre Dito racconta come in Brasile esistano due tipi di capoeira: quella fatta in strada, dove può partecipare chiunque e, l’altro tipo, praticata in un luogo dedicato. Nel primo caso questa lotta-danza è un’occasione per socializzare: «Le persone che si conoscono in questo modo diventano una famiglia, cominciano a mangiare assieme, uscire, fare viaggi e nascono dei gruppi molto uniti. Invece, nel secondo caso, la capoeira è un allenamento sportivo e si pratica soprattutto in centri appropriati»
I movimenti sono accompagnati da musica tipicamente brasiliana. Il berimbao che è uno strumento a corda di origine africana, formato da una zucca vuota e un asta, l’atabaki simile al bongo e il tamburello, fanno uscire le note che contraddistinguono la melodia della capoeira.
La diffusione di questa tecnica brasiliana, che richiama l’Africa, diventa un modo per condividere aspetti culturali diversi e promuovere lo spirito di aggregazione tra le persone.