Maryam mi accoglie in casa sua una domenica afosa di luglio. L’appartamento è piccolo e ordinato. Appena entrata, mi viene incontro con i cinque figli di età compresa tra i 6 mesi e i 12 anni. Arriva anche il marito che si siede sul divano e inizia a dare il biberon al più piccolo. Parliamo di quello che lei vorrebbe fare durante il progetto di Affido Culturale al quale partecipa, tra gli altri, il Comune di Modena, e verifichiamo tra le attività già disponibili. Maryam è una bella donna nigeriana di quarantadue anni, un sorriso caldo, occhi grandi e vispi. Non è previsto che parliamo delle nostre vite così, al primo incontro, invece viene tutto spontaneo. Io non ho molto da dire, lei invece ha voglia di raccontarsi.
Ha 19 anni quando decide di lasciare la Nigeria per studiare: «Mi sono diplomata e poi volevo fare l’università, magari in Europa. Mi piacevano moltissimo i libri, a scuola andavo molto bene. In casa eravamo in 16 figli e mio padre aveva perso il lavoro. Non volevo gravare ancora sulla mia famiglia. Mi piaceva l’idea di partire e andare a studiare fuori. Nel frattempo ho conosciuto un signore che mi ha promesso di andare a fare l’università in Olanda, però prima mi ha detto che sarei dovuta passare dalla Bulgaria. Mi sono fidata, ero molto giovane e ingenua. In poco tempo ho ottenuto un visto da studente e mi sono imbarcata sull’aereo.»
In Bulgaria le cose non vanno come Maryam si aspetta, passano le settimane e non arrivano i documenti che le consentono di andare in Olanda. Così le propongono di partire per la Grecia, senza documenti, come clandestina. Con lei ci sono altre due ragazze. «Io volevo studiare», ripete più volte Maryam, come se quel desiderio fosse ancora lì, pronto per essere realizzato.
Le dicono che il viaggio è di otto ore invece ne passa venti nascosta sul tetto del treno. Un viaggio terribile e angosciante. A un certo punto le sue amiche perdono il controllo, non ce la fanno più a stare immobili e i passeggeri del treno chiamano i controllori che perlustrano la parte superiore del vagone ma non trovano nulla. Vedono solo che c’è una fessura sul tetto del treno, come se il materiale si fosse aperto per usura o a causa delle intemperie. Così chiudono quel varco. Quella fessura sarebbe servita alle ragazze per scendere dal tetto, una volta arrivate, entrare nel vagone e scendere dal treno. Maryam tenta di fare un’apertura ma si ferisce a una mano e le sue dita cominciano a sanguinare.
«Siamo arrivate e non riuscivano più a scendere, ci sembrava d’impazzire. Allora abbiamo cominciato a urlare fortissimo, perché volevamo farci sentire. La Polizia ferroviaria ci ha fatto venire giù e ha chiesto di dove eravamo. Io ho risposto che arrivavo dalla Sierra Leone. Non volevo che mi rimandassero in Nigeria. Ci hanno portato in caserma e siamo state in cella due giorni, dopodiché ci hanno liberate». Maryam ha ancora la mano che sanguina, non la curano. La portano in un centro di accoglienza dove ci sono altri stranieri. «Mi sono curata da sola. A forza di lavarmi la mano con l’acqua calda e con il tempo sono guarita.», dice con occhi sconsolati.
In Grecia, però, Maryam non vuole stare: « Dopo un pò di tempo ho incontrato una persona che mi ha chiesto se volevo andare in Italia e io ho accettato.» La donna fa un viaggio di diversi giorni su un camion che trasporta merci, è nascosta nel retro assieme a altre trenta persone. Le danno un panino e una bottiglia di plastica vuota per urinare. «Tremendo»: solo questo riesce a dire e e non aggiunge altro.
Quando riprende a parlare mi dice che arriva a Bari e poi dopo visita diverse città tra cui Roma e Catania. In Sicilia rimane cinque anni e lavora come badante, un lavoro che le piace moltissimo. Si trova molto bene, conosce tante brave persone che l’aiutano ad inserirsi nell’ambiente e si fa degli amici: «Adoro gli anziani perché ti raccontano tante cose sulla loro vita, è facile creare con loro un bel rapporto di amicizia. Grazie a loro ho imparato l’italiano».
Poi conosce l’uomo che diventerà suo marito e cambierà la sua vita. Lui vive a Modena e lei decide di trasferirsi. Si sposano e formano una bella famiglia. Maryam rimane zitta un momento e poi mi dice: «Sono così contenta di come è la mia vita adesso, a volte non mi sembra vero. Se fossi rimasta legata alla persona che mi aveva fatto partire per la Bulgaria, sarei finita sulla strada. Me ne sono accorta dopo. Non è giusto che esistano persone capaci di queste cose.»
Le chiedo cosa vorrebbe adesso per il suo futuro e mi risponde così: «Voglio fare studiare i miei figli e mandarli all’università. Io non ho potuto ma loro ce la faranno. So che non sarà facile, ma credo che sia possibile. Questo è un Paese dove le istituzioni aiutano e permettono alle persone di avere progetti di vita».
Maryam mi sorride, poi guarda il marito, prende in braccio il figlio piccolo e lo attacca al seno.