«L’Italia? Mi immaginavo i grattacieli, come nei film americani»

Malick con la fidanzata Irene, con cui convive in provincia di Venezia

Viaggiare. A volte le persone riempiono la casella «hobby» con questa parola. C’è chi viaggia per obbligo, chi per necessità, chi per passione; e a volte la possibilità di spostarsi da un luogo ad un altro non è condizionata solo da fattori economici, può dipendere anche dal luogo in cui siamo nati o dal luogo che abitualmente chiamiamo casa. Questo concetto, che lega la possibilità di movimento alla nazionalità indicata su un documento, abbiamo imparato a conoscerlo bene durante la pandemia da Covid-19. «Non posso entrare in quello Stato perché prevede limitazioni di ingresso». «Posso passare la frontiera solo se ho un pass». «I miei cari non possono rientrare in Italia perché si trovano in uno stato in cui circolano delle nuove varianti di coronavirus». Sono frasi che abbiamo ripetuto e sentito diverse volte negli ultimi due anni, poi c’è chi non ha la possibilità di lasciare il proprio Paese, e non solo per via della pandemia – questa opzione gli è stata preclusa prima della diffusione del Covid-19 -, le ragioni sono da ricercare nel passaporto, cosiddetto «debole». Secondo quanto riportato dal sito www.passportindex.org che si occupa di stilare una classifica mondiale dei passaporti, tenendo conto del loro peso, una persona con passaporto gambiano, per esempio, può entrare in 35 Paesi del mondo senza dover presentare un visto, mentre un italiano può entrare in 104 stati senza richiedere un visto. Malick ha 26 anni, è cittadino gambiano e si è trasferito in Italia circa sei anni fa; ci racconta la sua esperienza, cosa lo ha portato a voler cambiare vita e gli ostacoli con cui si è misurato per arrivare in Europa.
Malick, ci può raccontare le motivazioni che l’hanno spinta a partire?
«Sono un po’ emozionato perché prima d’ora non ho mai raccontato questa esperienza a persone che non fanno parte della mia famiglia o dei miei affetti più cari. Sono nato e cresciuto in Gambia, con i miei genitori, due fratelli e due sorelle. Lì lavoravo come falegname da quando avevo dieci anni, è un mestiere che mi piace e che continuo a portare avanti anche qui in Italia, inoltre nel tempo libero praticavo sport, ho vinto diverse medaglie in competizioni di lotta senegalese. Ma purtroppo in Gambia non vedevo un futuro per me, il lavoro scarseggiava e lo Stato non fa molto per dare ai giovani la possibilità di costruirsi un domani migliore, con qualche certezza. Così ho deciso di abbandonare la mia casa, non è stato facile decidere di lasciare la mia famiglia, ma l’ho fatto soprattutto per loro, sentivo dentro di me la responsabilità di contribuire al benessere dei miei genitori, coltivare questi obiettivi in Gambia era diventato molto difficile».
Quali sensazioni e difficoltà l’hanno accompagnata nel corso del suo trasferimento in Italia?
«Oltrepassare il confine del proprio Stato non è facile per un cittadino gambiano, chiaramente servono i documenti, anche per raggiungere altri Stati dell’Africa. Richiedere visto e passaporto è un’operazione complicata, lunga e costosa, che spesso non porta al risultato sperato. Per ottenere il passaporto servono parecchi soldi e se in fase di colloqui per ottenere il documento dai risposte che i funzionari reputano “incomplete” o “sbagliate”, il rischio di vedersi negare la possibilità di ottenere il passaporto, e gli altri documenti necessari per la partenza, è molto alto, inoltre si rischia di perdere tutti i soldi investiti nella procedura. Conosco diverse persone che sono rimaste senza passaporto e senza soldi. Non capisco perché il movimento di alcune persone, tra cui noi gambiani, sia così ostacolato. Se una persona decide di trasferirsi dovrebbe poterlo fare in sicurezza, e senza rischiare di perdere i propri risparmi, per poi ritrovarsi con nulla in mano».
Com’è cambiata la sua vita da quando vive in Italia?
«Quando sono arrivato in Italia ho pensato una cosa buffa, mi sono detto “ma questa non può essere l’Europa, non sono veramente arrivato in Italia”. Nella mia testa c’erano le immagini degli altissimi grattacieli che si vedono nei film americani. Io l’Europa l’avevo sempre immaginata in quel modo. Sono arrivato in Italia nel 2015, avevo vent’anni. La mia famiglia mi manca, non li abbraccio da più di sei anni ormai, ci teniamo in contatto attraverso le videochiamate, però sono più sereno perché so che adesso posso aiutarli, questo è importante. Da quando sono in Italia ho sempre vissuto in Veneto, ho fatto diversi lavori, e poi tre anni fa ho trovato lavoro come falegname in una fabbrica, sono contento. Qui in Italia ho conosciuto dei ragazzi gambiani, con alcuni di loro siamo rimasti in contatto, in particolare con Adam, e quando ci vediamo parliamo il wolof, una delle lingue diffuse in Gambia. Quando sono arrivato in Italia mi hanno rilasciato il permesso di soggiorno per motivi umanitari e successivamente ho ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di lavoro. Spero di poter far visita ai miei cari. Sto bene in Italia, ma naturalmente il mio Paese e la mia famiglia mi mancano».