«Quando ho letto di Mahsa Amini, morta dopo l’arresto da parte di Gasht-e Ershad, la polizia morale, ho iniziato a piangere. Avrei potuto esserci io, al suo posto. Oppure mia sorella, che ha 15 anni ed è rimasta in Iran».
J..M., 25 anni, vive in Italia da cinque. Anche lei, come molte altre studentesse e altri studenti, è stata coinvolta da un gruppo di universitari di Ravenna in seguito ai fatti di Teheran.
Insieme all’associazione Tôchi Bellezza, i ragazzi e le ragazze che hanno a cuore la violazione dei diritti umani in Iran, da partire da oggi si mobiliteranno. Lo faranno questa sera alle 21 con un livestream su Instagram (https://www.instagram.com/tochibellezza) e domani, giovedì 29 settembre, alle 18,30, in piazza del Popolo: «A oggi – dichiara il gruppo – in Iran le proteste proseguono e diventano sempre più grandi. Nel Paese, purtroppo, sono state interrotte le connessioni ad internet, invitiamo le persone a utilizzare il più possibile l’hashtag #mahsaamini sui social. Vogliamo agire in solidarietà con chi sta protestando in Iran in modo che la loro voce sia sentita da quante più persone possibile, almeno a Ravenna».
Intanto, J.M. attinge ai suoi ricordi di adolescente: «Io sono scappata dal mio Paese per studiare, è vero. Ma soprattutto per trovare libertà. A 15 anni, mentre andavo a casa di mia nonna, venni fermata dalla polizia morale perché le calze che indossavo, nere e coprenti, erano troppo aderenti e mettevano in evidenza le gambe. Avevo addosso il manteau e l’hijab, per lasciarmi andare via dall’ufficio della polizia mia cugina dovette portarmi dei pantaloni. Fu un trauma. Due anni dopo, mentre ero in giro con alcuni amici e il mio fidanzato, di nuovo. Il problema era che non ero sposata con il mio ragazzo, che per passare il tempo, io e i miei amici, ci stavamo scattando delle foto. Io avevo il velo in testa, oltretutto. Ma fummo portati via. Non è possibile vivere in un Paese in cui la polizia ti mette paura, invece che trasmetterti sicurezza».
Anche J.M., stasera, si collegherà: «Ogni giorno, in Iran, è peggio. I miei genitori mi raccontano che la polizia si nasconde tra i protestanti e li segna con il colore verde, in modo che siano, poi, riconoscibili. La situazione è drammatica. Non si può morire per una ciocca di capelli fuori dall’hijab».