Essere neri ed essere italiani pare un binomio che descrive due identità apparentemente inconciliabili, eppure così frequenti nel recente panorama italiano. A raccontarcelo Nadeesha Uyangoda, scrittrice di origine srilankese ma cresciuta in Italia, dove si è trasferita coi genitori alla tenera età di sei anni. “L’unica persona nera nella stanza”, libro con cui sarà ospite oggi alle 18 a “Scritture di frontiera”, il festival che si tiene alla Biblioteca Classense di Ravenna, è stato pubblicato nel 2021 e nasce da un longform scritto per Nero Edizioni. L¡ l’autrice unisce il bisogno di esprimersi attraverso una scrittura creativa alla necessità di comunicare la sua identità, le esperienze vissute in prima persona per metterle poi a confronto con le molteplici identità ed esperienze di quanti condividono con lei non solo il colore della pelle ma un background migratorio di prima o seconda generazione, nonché le discriminazioni a cui sono stati soggetti.
Nel raccontarci la sua passione per la scrittura come mezzo di espressione a tutto tondo, che racchiude spesso anche altre forme di racconto – basti pensare al Podcast “Sulla Razza” a cui Nadeesha e altri autori hanno preso parte – la scrittrice fa riferimento alla scoperta della sua identità e di quella di molti giovani come lei, che nei quartieri multietnici della metropoli milanese si trovano a vivere un dramma personale ma condiviso.
Quello appunto di non essere mai completamente riconosciuti come Italiani a tutti gli effetti anche quando gli anni trascorsi nella penisola sono di gran lunga maggiori a quelli vissuti nel paese di origine dei propri genitori. Tale consapevolezza conduce l’autrice ad un processo di costruzione identitaria sempre sbilanciato a favore del territorio in cui è cresciuta, quello Italiano appunto, a discapito delle sue radici che ha dovuto in qualche modo recidere come conseguenza di un percorso naturale ma anche di richieste esterne che la obbligavano a scegliere necessariamente chi essere. Nadeesha ha dovuto così sovrascrivere la sua identità per acquisire totalmente quella italiana attraverso la scelta di una lingua, di una gastronomia, di una cultura e di un modo di essere che potessero ancorarla al nuovo ambiente. L’incontro o per meglio dire lo scontro che si produce quando la propria percezione di sé s’imbatte per la prima volta nei giudizi esterni, l’hanno condotta a una perpetua crisi d’identità, come la stessa scrittrice la definisce, oltre che al riconoscimento di quanto sia difficile se non impossibile essere considerati fino in fondo italiani perché privi di un elemento fondamentale, “la bianchezza della pelle”. Nel libro, citando il giornalista britannico Gary Younge, collega questo riferendosi a un razzismo subdolo, quello Europeo, che a differenza del razzismo statunitense, avvenuto all’interno dei confini federali sotto forma di schiavitù e segregazione, si è riprodotto inizialmente lontano dal territorio italiano, attraverso il colonialismo, dando vita a un’identità europea, occidentale che oltre ad includere la professione della fede cattolica, si esprimeva anche nel colore bianco della pelle. L’autrice preferisce quindi non associare ai numerosi atti o discorsi discriminatori l’ignoranza di un popolo che ha sempre visto il razzismo come una manifestazione negativa lontana dalla propria terra e che quindi non l’ha mai riguardato direttamente. A maggior ragione questa scusante non regge più nella globalizzazione del mondo moderno che rende le notizie non solo più veloci ma accessibili al pubblico italiano che non può più nascondersi dietro la mancata conoscenza dei contesti storici che hanno riprodotto determinate dinamiche. Ecco che Nadeesha, a un razzismo episodico, casuale e scollegato, alterna un discorso più strutturale e sistemico, un razzismo sia verticale che orizzontale e che appunto ha radice nella storia coloniale europea e del nostro paese. Più di una volta, durante la sua adolescenza, ha tentato di far ragionare quanti, con discorsi discriminatori, si ponevano in una posizione di supremazia nei confronti di italiani neri, ma ha dovuto ben presto riconoscere che la mancata consapevolezza di questo passato coloniale conduce alla razzializzazione di determinati gruppi all’interno della nostra società. Tutto questo si ripercuote anche in una discriminazione legale perpetrata dalle istituzioni, da uno stato che dovrebbe riconoscere l’evoluzione di una comunità che non è più monolitica ma profondamente multiculturale e come tale va approcciata con leggi al passo coi tempi in particolare quelle che riguardano la cittadinanza non ancora concessa ai tanti giovani, neri in questo caso, ma stranieri in genere, di seconda generazione che nascono sul suolo italiano. Nadeesha stessa conferma di non avere la cittadinanza ma un permesso di soggiorno di lungo periodo che le facilita sicuramente la vita quotidiana consentendole di viaggiare nello spazio Schengen ma impedendole comunque di prendere parti a concorsi pubblici o esercitare il diritto di voto sia attivo che passivo, problematiche queste condivise da molti giovani nella sua stessa situazione. Essere riconosciuti come cittadini italiani a tutti gli effetti può sembrare una formalità ma l’accesso a diversi bandi, un esempio il servizio civile universale, dimostrano quanto invece sia essenziale. A tal proposito la scrittrice ci racconta della battaglia legale intrapresa qualche anno fa insieme ad altri amici di seconda generazione con il supporto di ASGI, Associazione per gli studi Giuridici sull’Immigrazione, con cui sono riusciti ad ottenere l’accessibilità del servizio civile anche ai migranti con permesso di soggiorno di lungo periodo, conquista importantissima per i tanti ragazzi nati o cresciuti in Italia a cui, fino a poco tempo prima, questa opportunità era negata.
Ma come vivono la scuola questi ragazzi, come si è evoluta nel corso degli anni rispetto al periodo in cui Nadeesha era studentessa? Nel suo libro racconta di un ambiente scolastico per certi versi positivo ma in varie occasioni negativo e impreparato ad accogliere le classi multietniche che si andavano pian piano formando. Purtroppo, a distanza di tempo, l’autrice conferma come la scuola sia ancora oggi profondamente anacronistica, a causa di una riforma scolastica che non è mai stata proposta e di docenti così privi degli strumenti necessari a gestire in maniera positiva classi composte sia da numerosi studenti di origine straniera che da ragazzi locali. Tale situazione porta spesso la scuola a creare vere e proprie classi segregate dove gli studenti vengono raggruppati per etnia o livello di conoscenza della lingua italiana con il rischio di sfociare nel fenomeno delle “Scuole di Frontiera”. Nadeesha affronta nel suo libro anche il tema dell’intersezionalità, concetto che ci conferma essere ancora poco utilizzato e compreso nel contesto italiano. Termine coniato nell’89 e uscito dalla nicchia dell’accademia per esplodere tra la fascia mainstream della popolazione italiana, fa ancora fatica a prender piede tra i più giovani e nel mondo dei social media. Non si è arrivati, secondo la scrittrice, a una vera e propria comprensione di cosa significhi intersezionalità proprio perché non vi è l’immediatezza di capire che una persona possa trovarsi nell’intersezione di molteplici discriminazioni legate a un’identità plurale che le discrimina per il colore della pelle, l’identità di genere o l’orientamento sessuale, per fare solo alcuni esempi. L’Italia, prosegue, è ancora arretrata su molti fronti, basti pensare alla mancata approvazione del Ddl Zan, l’ancora attesa riforma sulla cittadinanza o la difficoltà nell’effettuare un aborto per il numero limitato di cliniche disponibili. Questi ed altri elementi dimostrano come tale concetto sia ancora parola vuota in molti ambienti e occorrerà attendere del tempo prima che si riempia di concretezza come anche avere fiducia nell’evoluzione del contesto italiano, nella presa di coscienza di un razzismo invisibile ai più ma radicato nella storia del nostro paese e che le parole e le esperienze raccontate in questo libro possono aiutare a portare alla luce e a denunciare.