“Le migrazioni esistono da sempre, non sono un’emergenza. Ora si chiudano i CPR”

Nel 1987 a Milano un medico di base, Italo Siena, decise di aprire il suo studio a donne, uomini, bambini, migranti, che erano sul territorio ma non avevano diritti riconosciuti. Da quel primo ambulatorio gestito con altri dottori si è sviluppata Naga, un’organizzazione di volontariato laica, indipendente e apartitica. Oggi, quasi quarant’anni dopo l’intuizione di Siena, tra ambulatorio medico, sportello immigrazione, unità mobili e gruppo carcere, il centro Naga Har per richiedenti asilo, rifugiati e vittime di tortura e uno sportello legale, l’associazione milanese conta su circa 400 volontari e volontarie che forniscono ogni giorno assistenza sanitaria e legale a chi ne ha bisogno.

Uno di loro è il cinquantottenne Giuseppe Nardiello che, dopo una vita nel mondo della consulenza e della gestione per software, un anno fa ha deciso di entrare nell’associazione. “Il nostro auspicio da sempre è che Naga possa non essere più necessario – dice il volontario – quando i diritti dei migranti saranno tutelati dai servizi pubblici, anche se questa prospettiva appare sempre più lontana”.

Giuseppe, perché hai deciso di entrare in NAGA?

“Mi sono sempre interessato ai diritti umani e civili, ma non avevo mai dato concretamente una mano. L’anno scorso, arrivato alla fine del mio percorso lavorativo, ho deciso che il Naga corrispondeva alla mia idea di volontariato. Ho fatto il corso di formazione nella primavera del 2022, quindi sono entrato nello sportello legale e poi in Naga Har, il servizio per richiedenti asilo, rifugiati e vittime di tortura. Più recentemente, quando si è rinnovato il Direttivo, mi sono offerto e sono stato eletto insieme ad altri due compagni che avevano fatto il mio stesso corso”.

Il momento più bello ad oggi che hai vissuto dentro l’associazione...

“Sono quelli in cui le persone che aiutiamo ti dicono con le parole o con gli occhi che finalmente hanno trovato qualcuno che li ascolta senza tornaconto. Ci sono anche, però, storie dolorose e drammatiche”.

Per esempio?

“Te ne faccio un paio: un giovane afgano che ha impiegato sette anni per arrivare in Italia, attraverso percorsi tortuosi, respingimenti e rimpalli nei Balcani, lì dove ha perso le tracce del fratello. L’altro è quello di una signora venezuelana che, lavorando e avendo già fissato un appuntamento presso un ente del terzo settore per poter presentare domanda di asilo in Questura – ebbene sì la procedura di richiesta asilo a Milano è così articolata – si è vista notificare una espulsione. Ora servirà un ricorso di un avvocato”.

Quali servizi offre NAGA a migranti e richiedenti?

“Oggi i 400 volontari operano sia presso le sedi Naga che andando sul territorio con le unità mobili. I servizi coprono l’area sociosanitaria (ambulatorio medico, medicina di strada, assistenza alle situazioni di sfruttamento e prostituzione), legale e sociale (servizio di sportello legale, sportello immigrazione, carceri) ed assistenza ai rifugiati, vittime della tortura e richiedenti asilo. Nello scorso anno abbiamo effettuato 7.500 visite mediche (pazienti di 84 paesi diversi), 2.500 farmaci distribuiti, 600 colloqui degli specialisti di psicologia, 1.400 detenuti assistiti, 2.000 consulenze legali. Anche si tratta di poche persone, per noi è importante perché attiene al rispetto dei diritti umani fondamentali”

Come si sono modificati i vostri servizi in questi anni per garantirli?

“Si sono adeguati al mutare delle migrazioni e della legislazione sull’asilo e l’accoglienza. Il fenomeno è cambiato, così come il contesto generale della società europea – recessione economica e contrazione del welfare – ma anche il mondo dell’associazionismo. Purtroppo in Italia – e in Europa – l’approccio dei governi è basato solo sul controllo dei confini, che ha reso i percorsi di migrazione più pericolosi senza incidere realmente sui flussi. Noi del Naga consideriamo le migrazioni un fenomeno che esiste da sempre, non un’emergenza. Ci piace dire che ‘incontriamo persone da accogliere, non pensiamo a frontiere da controllare'”.

In cosa consiste la vostra assistenza sanitaria?

“Il Naga svolge le funzioni del medico di base e alcune specialistiche, mentre per il secondo livello (esami, interventi, etc.) facciamo riferimento agli ospedali pubblici. Infatti, per l’articolo 35 del TUI, anche chi è irregolare ha comunque diritto alle cure – con la possibilità di ricevere un codice (detto STP – Straniero Temporaneamente Presente) sostitutivo del codice fiscale e dalla garanzia di non essere segnalati quando ci si rivolge alle strutture sanitarie. Purtroppo, in Lombardia – essendo la sanità su base regionale – l’applicazione è disomogenea e non è previsto un servizio di medicina di base”.

E quella legale?

“È una delle cose che seguo come parte dello sportello legale. Ci occupiamo più pratiche amministrative come richieste di permessi di soggiorno per protezione internazionale, cure mediche, ricongiungimenti familiari, prenotazione appuntamenti in Questura che di vere e proprie consulenze e azioni legali a fronte di diniego del permesso di soggiorno o provvedimenti di espulsione. Purtroppo, le leggi oggi impediscono di regolarizzare persone spesso già integrate e capaci di lavorare. Da noi vengono datori di lavoro che vorrebbero assumere la loro badante, il cameriere o il muratore ma che, per la legge, dovrebbero chiamare dall’Italia mentre sono ancora nel paese di origine senza averli mai incontrati. Per ovviare all’assenza di canali regolari ed effettivi, spesso si deve far ricorso a una richiesta di asilo”.

Ma i milanesi, come guardavano alla vostra realtà nel 1987 e  come la considerano oggi?

“Nel tempo la percezione è cambiata. L’associazione forse ora è più nota, date le tante attività e iniziative fatte. Credo che rimanga l’apprezzamento per aver sempre mantenuto le nostre specificità dal 1987 ad oggi: la laicità, il lavoro volontario, la radicalità ideologica unita a pratiche quotidiane, il radicamento sul territorio, l’unire sempre la denuncia all’assistenza. Come ci piace dire “non facciamo cose speciali, ma guardiamo le cose in modo diverso”.

Sul vostro sito dichiarate di agire indipendentemente dai “partiti politici, dalle istituzioni, dalle associazioni sindacali e religiose”. Aiutare lo straniero a integrarsi, però, non è un atto politico?

“Sono assolutamente d’accordo: aiutare gli stranieri non solo ad integrarsi ma a vivere una vita sana e a veder riconosciuti i propri diritti fondamentali, è un atto politico. Pur essendo indipendenti dai partiti, il nostro agire è guidato da idee politiche di uguaglianza, giustizia e lotta alle discriminazioni. Ovviamente ci confrontiamo anche con i partiti, le istituzioni, le associazioni sindacali e religiose grazie  all’indipendenza che ci è garantita dal lavoro delle volontarie e dei volontari del Naga e grazie al  contributo dei donatori. Il Naga è sovvenzionato per circa il 51% da privati con donazioni, per 16% dal 5/1000 e per un 28% da Fondazioni. Sul nostro sito si trovano i riferimenti per donare, anche solo occasionalmente”.

Come ha impattato la pandemia da Covid-19 nella gestione emergenze e come vi siete riorganizzati?

“Il nostro ambulatorio non ha  mai chiuso e abbiamo fatto anche un’azione costante di diffusione delle informazioni. Siamo stati i primi a tradurre le prime regole Covid dall’italiano e le nostre traduzioni finirono addirittura sul sito del Governo. Anche gli altri servizi si sono riorganizzati per poter funzionare sia pure da remoto”.

Ci sono piani di ampliamento all’orizzonte?

“Stiamo valutando alcuni servizi aggiuntivi, ma per ora nessun piano specifico. Da un lato cerchiamo di non sostituirci allo Stato, dall’altro non vogliamo creare aspettative verso i più deboli. Infine, dobbiamo fare i conti con le nostre risorse, umane e finanziarie – perché noi vogliamo rimanere indipendenti – e qui mi permetterai se torno a segnalare che ogni contributo è ben accetto. Il corso appena partito per la formazione dei nuovi     volontari ha esaurito in pochi giorni i posti disponibili, ma ne partirà un altro in autunno”.

Pochissimi mesi fa, intanto, nel CPR di Ponte Galeria (ROMA) a cui è interdetto l’accesso ai giornalisti, un guineiano di 22 anni Ousmane Sylla si è suicidato. A questo proposito il NAGA ha parlato “dell’ennesima morte annunciata”.

“Come abbiamo scritto nel nostro comunicato, Ousmane Sylla ha passato i suoi ultimi quattro mesi nei gironi infernali dei CPR – che abbiamo ampiamente descritto nei nostri report da alcuni anni, incluso l’ultimo chiamato: ‘Al di là di quella porta’. Dopo essere stato nel CPR di Milo a Trapani, e dopo la rivolta scoppiata a gennaio a causa delle condizioni di vita inaccettabili, era stato trasferito in quello di Ponte Galeria a Roma. Ousmane Sylla ci ha lasciato un toccante messaggio sui muri del lager: dichiara la disperazione che lo ha portato a ‘farsi una corda’. Non si trattava solo della sofferenza che gli era stata inflitta, ma anche di quella che lui sapeva sarebbe continuata a lungo. La detenzione nei CPR, per quello che è solo un illecito amministrativo, è stata prolungata recentemente dal governo Meloni a ben 18 mesi. Nel suo caso, il trattenimento nel CPR era inutilmente crudele: non sarebbe infatti mai stato possibile rimpatriarlo perché con la Guinea non esistono accordi di rimpatrio. Aggiungo che, quando i compagni l’hanno tirato giù dalla corda, Sylla era ancora vivo. Hanno chiesto di chiamare i soccorsi, e per tutta risposta sono arrivate le forze dell’ordine, mentre i soccorsi sono arrivati oltre un’ora dopo, quando ormai era già morto. Ousmane Sylla era stato abbandonato dallo Stato e neanche quando stava per morire è stato soccorso”.

Perché chiedete la chiusura di questi centri?

“Per noi dei Naga e della rete “Mai Più Lager – No CPR” di cui siamo co-fondatori, i CPR sono innanzitutto una aberrazione giuridica, in quanto applicazione della detenzione amministrativa (ovvero non avere avuto un permesso di soggiorno o avercelo scaduto pur vivendo in Italia da anni), senza imputazione di reato e senza processo, ancor di più inaccettabile perché l’applicazione è inflitta a soli stranieri – un esempio di razzismo istituzionale – in un contesto normativo che non consente alternative concrete alla condizione di irregolarità sul territorio, magari per cercare lavoro. Manca, infatti, una disciplina organica  che stabilisca diritti e doveri dei trattenuti – come in ambito carcerario – e una figura paragonabile a quella del magistrato di sorveglianza. È dimostrato che il trattenimento, quanto più è prolungato tanto più provoca un progressivo pregiudizio dell’equilibrio psicofisico delle persone, anche di quelle che al loro ingresso nel CPR si trovavano nelle migliori condizioni di salute. A ciò si aggiunge il diffuso utilizzo di psicofarmaci per gestire l’ordine interno, in assenza di prescrizione di medici specialistici, che, oltre che non etico, pregiudica la salute dei trattenuti e pone le basi per un peggioramento o per lo sviluppo di preesistenti e nuove forme di tossicodipendenza, ed è comune a tutti i CPR”.

Il CPR di Milano, però, di recente è stato commissariato.

Ci è voluta un’inchiesta della magistratura dopo il monitoraggio e le denunce del Naga e della rete Mai Più Lager / No CPR. Dopo circa due mesi abbiamo potuto documentare come le terrificanti condizioni di detenzione non siano cambiate: non sono garantiti livelli minimi di igiene, il cibo è avariato e immangiabile, le somministrazioni di sedativi continuano.  A fronte di proteste non violente da parte di alcuni detenuti (si sono spogliati nudi sotto la pioggia in una gelida notte d’inverno), nella sera del 10 febbraio è stato documentato un terribile pestaggio da parte della guardia di finanza in tenuta antisommossa, di due ragazzi (uno di soli 18 anni) in uno stretto corridoio, tra le urla disperate di chi stava assistendo.

Per noi la situazione dei CPR non è riformabile – sono dei luoghi disumani che vanno chiusi immediatamente, ovunque, subito. A tal proposito abbiamo convocato come “Mai Più Lager – No CPR” una manifestazione a Milano il 6 aprile.