Avvocato Maestri, questo è un anno di forti cambiamenti normativi per la vita dei migranti. Che cosa la preoccupa di più, da Cutro in poi?
«Un anno terribile, soprattutto per il naufragio di Cutro, che come tutte le tragedie del mare poteva essere evitata se in Italia si fosse messo mano ad una seria riforma delle leggi sull’immigrazione che consenta canali sicuri e legali d’ingresso e se fosse ripristinata una missione di ricerca e salavataggio come Mare Nostrum. Invece, le frontiere dell’Europa sono sempre più chiuse e ostili di fronte a migrazioni che di ostile non hanno nulla. E poi è l’anno del decreto cosiddetto Cutro che è una bestemmia associare alla morte di quegli innocenti in mare, perché è una normativa che restringe ulteriormente l’agibilità del diritto di asilo in Italia cancellando la protezione speciale, protezione residuale e complementare nata sulle ceneri della vecchia “protezione umanitaria”. Dopo quella strage, che avrebbe consigliato maggiore intelligenza e umanità nella gestione del fenomeno migratorio, il Governo è andato in direzione opposta. Ma non dimentichiamo che è anche l’anno di due terribili conflitti, quello in Ucraina e quello nella Striscia di Gaza, dove la popolazione civile è vittima della violenza degli Stati: anche da questi fatti drammatici sono già nati e nasceranno movimenti migratori, di persone costrette a fuggire da zone di conflitto armato. Da ultimo, l’annunciato accordo Italia – Albania per la gestione di contingenti di richiedenti asilo raccolti in mare: un accordo che contrasta con la Costituzione e con il diritto europeo in materia di asilo.
Il Decreto interministeriale 133 del 5 ottobre scorso prevede una serie di deroghe sul tema dell’accertamento dell’età di chi si dichiara minore straniero non accompagnato. Secondo lei riuscirà a essere convertito in legge, un decreto che nei fatti straccia il principio del cosiddetto interesse del minore?
«Si tratta di una misura gravissima, che va contro il sacro principio, codificato dalla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia nel 1991, del superiore interesse del minore e della presunzione di minore età: qualora, a seguito di accertamenti documentali e socio-sanitari residuino profili di dubbio, si presume la minore età e questo serve ad evitare che un minore finisca per essere trattato per errore come un adulto e quindi, per esempio, essere privato della libertà personale all’interno di un centro per i rimpatri ed essere espulso. Confido che in sede di conversione il Parlamento rimediti alcune norme ed elimini gli aspetti oggettivamente illegittimi del provvedimento».
Il cosiddetto decreto Cutro del 9 marzo scorso, poi convertito in legge (la 50 del 5 maggio) introduce la non convertibilità della protezione speciale in permesso per lavoro. Cosa comporterà, a suo avviso, questa novità?
«L’obiettivo – contrario al buon senso – è di rendere temporanea (e non stabile) la presenza di chi ottiene questa forma di protezione, negando l’evidenza e cioè che normalmente i percorsi migratori di chi entra in Italia come richiedente asilo sono irreversibili: si tratta di persone che si lasciano alle spalle paesi retti da regimi non democratici, situazioni di conflitto o di povertà endemica, persecuzioni, trattamenti inumani e degradanti, devastanti crisi climatiche. In realtà vi sono meccanismi normativi che impediscono il passaggio automatico dalla cessazione della protezione speciale alla (involontaria) irregolarità del soggiorno e quindi al rischio di rimpatrio: se chiedo alla Questura un tipo di permesso di soggiorno (es. la conversione da protezione speciale a lavoro) di cui mancano i requisiti, la Questura è comunque tenuta a valutare se sussistono i requisiti per il rilascio di un altra tipologia di soggiorno. E in ogni caso, vanno tutelati la vita privata e familiare, l’integrazione sociale e lavorativa conseguita nel tempo, eccetera».
Le strade per entrare in Italia da migrante regolari sono, nei fatti, quasi azzerate a meno che non si faccia richiesta di asilo. Ma anche qui, apriti cielo. La lista dei cosiddetti paesi di origine sicuri (esempio la Tunisia, la Nigeria, la Costa d’Avorio) rischia di uniformare situazioni, vite, percorsi di persone con storie molto diverse, condannandole a destini legali già certi. Qual è la sua opinione?
«Quella dei “paesi d’origine sicura” è una problematica molto seria perché rende molto più complicato l’accesso alla protezione internazionale di chi provenga dai paesi compresi nella lista ed ostacola anche l’esercizio del diritto di difesa in caso di rigetto della domanda di protezione perché, per esempio, dimezza i tempi per i ricorsi e appesantisce l’onere della prova a carico del richiedente. Inoltre, si tratta di valutazioni (quelle che portano a considerare un paese come sicuro) con una forte connotazione politica, che sfuggono al diritto e che, a mio avviso, limitano in modo illegittimo il diritto d’asilo per come lo disegna (con un perimetro invero molto ampio) l’art. 10 comma 3 della Costituzione».