«Las leonas», un pallone tra i piedi delle donne immigrate

Sapevate che a Roma si gioca un campionato di calcio tutto al femminile? E che le calciatrici non sono italiane, ma vengono dalla Cina, dal Marocco, dal Paraguay o dal Perù? È quanto documentano Isabel Archaval e Chiara Bondì in Las Leonas, presentato alle Giornate degli autori Notti veneziane e prodotto da Sacher Film di Nanni Moretti, che si riserva un cameo mecenatesco nel finale, comprando e consegnando le coppe.

La camera entra subito in familiarità con sette immigrate almanaccandone ferite, sogni ed aspirazioni. Sono sorelle, madri, figlie, amiche. Badanti, domestiche, tate. Guardano in macchina con fierezza, si commuovono, si consegnano allo spettatore. Giocano in squadre diverse, si allenano nei ritagli di tempo e le tattiche si fanno al bar o a colpi di messaggi vocali. Ogni fine settimana, poi, si riuniscono tutte nel rettangolo verde della Vis Aurelia.

Il calcio è una passione dirompente sì, un laccio con la madrepatria certo, ma anche uno sfogo, una liberazione dopo i turni passate a lustrare le case degli italiani. Le registe, in ottanta minuti, offrono squarci di quotidianità senza pretese di completezza e delineano un’indagine sociale dolceamara delle loro condizioni di vita. Emerge un sentimento misto di rabbia e amore verso l’Italia che non ha mantenuto le promesse di vita migliore. C’è chi, per l’Italia, ha lasciato i bambini in Perù, chi il suo bar a causa degli usurai. Parecchie si sdoppiano a bordo di una bicicletta da una parte all’altra della capitale per le pulizie. Ma tante prima non sapevano neanche cos’era uno straccio. E la telecamera – un’equipe quasi tutta al femminile- coglie le loro confessioni accorate, tra primi piani mai invadenti, si prende tutto il tempo per farle esprimere, senza scadere nel patetismo. Il rischio di sfilacciare il filo narrativo puntando sulla verbosità emotiva, però, non è del tutto evitato, ma il documentario rimane sempre godibile e ben piantato intorno alle protagoniste.

Volti e corpi. Parola e azione. La voce per raccontare e le gambe per rincorrere il pallone. Sono questi i due fuochi attorno cui le cineaste intelaiano Las Leonas. La scelta è sacrificare l’oggettività, lo sguardo neutrale per sedersi accanto a loro, distruggendo la distanza intellettuale alla ricerca della compartecipazione. Cercando un cinema che non sia fotografia del reale, ma svelamento (sociale) delle verità dell’Io e dei suoi dolori.