Ci sono Paesi che, quando li visiti, ti lasciano dentro un bagaglio così incredibile di emozioni, stili di vita, modi di vedere le cose che ti rimangono nel cuore e ti danno una conferma sulla strada da percorrere nel tuo futuro. Questa è stata l’esperienza di Linda Amico, 26 anni, che a Ravenna studia International Cooperation on Human Rights (I-Contact). Linda è andata in Senegal, a Dakar, tramite una borsa di studio e lì è rimasta quattro mesi per raccogliere materiale utile alla stesura della sua tesi di laurea.
Come ti sei trovata in Senegal?
«Mi sono trovata molto bene. Sono rimasta colpita dall’accoglienza e dall’ospitalità che ho incontrato a Dakar. In Senegal non c’è una cultura individualista della società ma comunitaria, le persone si dedicano molto agli altri prima che a loro stessi. Quando iniziano una conversazione la prima cosa che chiedono è “Come stai oggi? Com’è la tua giornata?”. C’è molta apertura verso gli stranieri. Non ti senti mai abbandonato a te stesso, le persone sono lì per te, per darti una mano se hai bisogno».
Qual’è lo stile di vita a Dakar?
«Dakar per me è un “caos organizzato”, una città dinamica, con tanti mercati e attività. Se la guardi dall’esterno pensi che sia una città caotica, in realtà tutto s’incastra e funziona bene. Il rapporto che i senegalesi hanno con il tempo mi è piaciuto molto. Tutti sono sempre tranquilli, se una cosa non si riesce a fare oggi, si rimanda a domani, senza ansie e preoccupazioni. Si vive molto alla giornata e ci si affida a Dio. La religione gioca un ruolo importante in questo paese. Il 94 % sono mussulmani, gli altri sono cristiani e animisti. Se qualcosa non va bene, Dio provvederà affinché la situazione migliori».
Cosa puoi dire sulla condizione della donna?
«In casa è la donna che si occupa dei lavori domestici. Fuori casa non ho mai visto che una donna venisse messa da parte. Nel mio ambito universitario sono stata trattata in modo paritario, allo stesso livello di un uomo. Non mi sono mai sentita inferiore o in pericolo. Se ho avuto bisogno di qualcosa sono sempre stata aiutata.»
C’è un modo di dire, una parola che ti è rimasto nel cuore?
«In Senegal il francese è la lingua ufficiale. Poi c’è il Wolof che è la lingua più parlata e ci sono anche altre etnie linguistiche, ma rappresentano una minoranza. Un parola che usano spesso nel parlato è Nio Far, che vuol dire “stare insieme” e qui si ritorna alla tematica della vita comunitaria e della condivisone che appartengono a questa cultura. Lo usano spesso nel mezzo delle conversazioni e anche, per esempio, alla fine di una frase, al posto di un “prego” dopo un “grazie”.»
Perché un senegalese lascia la propria terra e decide di emigrare in un altro paese?
«Vivendo lì mi sono resa conto che certi stereotipi proprio non esistono. Per esempio, i senegalesi sono molto affezionati al proprio paese e non verrebbero mai via. A volte però la vita ti mette davanti a certe situazioni, tipo la necessità di un lavoro che lì dove sei non c’è, o cambiamenti improvvisi della tua condizione, quindi sei obbligato a partire per un’ aspettativa di vita migliore».
Ci sono attività in ambito migratorio di cui ti occupi oltre agli studi universitari?
«Ho fatto il percorso per diventare mentore con Refugees Welcome Italia, proprio a Ravenna, ma purtroppo non sono riuscita a fare l’esperienza pratica per altri impegni che si sono sovrapposti. Collaboro comunque con questa organizzazione quando ho la possibilità, per esempio, sono andata a dare una mano quando c’è stato lo sbarco a Ravenna questa primavera e di recente ho giocato a calcio con i ragazzi. Con Refugees Welcome c’è un bel rapporto anche con gli altri studenti del mio corso di laurea per le tematiche trattate che ci accomunano».
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
«A settembre andrò a Marsiglia quattro mesi per un stage al Consolato e poi ad Atene altri due mesi dove farò un tirocinio in una ONG. La mia intenzione è quella di lavorare su tematiche che riguardano l’immigrazione. Da piccola ho sempre viaggiato molto con la mia famiglia e all’epoca quando arrivavo in un paese nuovo mi sentivo diversa e riesco a mettermi nella condizione di chi si sente diverso. Adesso rivedo questa diversità negli stranieri che provengono da altri paesi e voglio continuare il mio percorso in questo ambito».