Hamid Barole Abdu, essere immigrati 50 anni dopo, tra gratitudine e nostalgia

Il Diario della Gratitudine è l’ultimo libro di Hamid Barole Abdu, presentato il 10 novembre a Modena all’interno degli spazi del Gruppo CEIS. Hamid è uno scrittore di origine Eritrea, nato ad Asmara nel 1953 e arrivato in Italia nel 1974 come esiliato politico. Ha ricoperto un ruolo poliedrico all’interno del nostro Paese, con grande interesse rivolto alle tematiche migratorie. Autore di poesie, romanzi, testi teatrali e saggi, si è dedicato con passione anche all’ambito sociale. Negli anni è stato mediatore culturale, operatore all’interno delle carceri e ha tenuto corsi di formazione e seminari affrontando tematiche come l’intercultura e la salute mentale dei migranti.

«Quest’opera è una biografia scritta per celebrare i mie 70 anni di vita, una forma di ringraziamento nei confronti dei genitori che mi hanno generato, per l’Italia, dove vivo da quasi 50 anni, gli amici che ho incontrato e tutte le persone che mi sono state vicine, anche nei momenti difficili», spiega Hamid.

Hamid, com’è stato per lei l’arrivo in Italia?

«Quando sono arrivato qui, tutto è stato da subito molto difficile. La mia famiglia era di ceto medio e non mi faceva mancare niente, ero tenuto in grande considerazione. Qui in Italia invece risultavo l’essere inferiore. Trovare una casa in affitto era impossibile, la gente non si fidava delle persone di colore. Purtroppo, a distanza di 50 anni, devo dire che la situazione non è migliorata molto, c’è ancora tanto razzismo. A malincuore posso affermare che, parlando d’integrazione, l’Italia è ancora un paese arretrato. Una cosa che mi ha colpito è stato scoprire che io, del mio Paese, conoscevo poco o niente, perché in Eritrea avevo studiato sui libri scritti dagli occidentali, dove non si spiegava il colonialismo. Io l’Africa dal punto di vista storico, politico e sociale ho iniziato a conoscerla in Italia».

Lei è in Italia ormai da 50 anni: com’è cambiata l’immagine dell’immigrato nel nostro Paese e come la si può migliorare?

«Purtroppo, come dicevo prima, la situazione non è cambiata più di tanto. L’immigrato è ancora quello che serve per fare i lavori umili, o il ladro che ti ruba la bicicletta. Lo Stato deve fare la sua parte con politiche migratorie per favorire l’integrazione, ma anche gli immigrati devono fare la loro. Possono radunarsi in forme associative per esprimere la loro voce e promuovere forme di partecipazione alla vita politica e sociale del paese, questo a mio avviso è la strada giusta da intraprendere».

In che rapporto sono dentro di lei l’identità africana e quella italiana?

«Dentro di me io sono tante cose: musulmano, eritreo, italiano. Devo dire che tutto quello che ho vissuto in questi anni ha portato alla costruzione della mia persona. Anche le discriminazioni hanno contribuito a farmi crescere e le mie identità adesso convivono serenamente, non combattono, non litigano, sono amalgamate. Non è sempre facile accettare le proprie diversità, ma essere in pace con se stessi è molto importante, altrimenti non riesci a stare bene con gli altri. Quando dentro sei sereno, non c’è vento che possa spostarti».

E’ più tornato in Eritrea? Cosa si porta dentro del suo paese?

«Non ho più potuto metterci piede e mi dispiace moltissimo. Non sono riuscito neanche a salutare i miei genitori prima che morissero. Era comunque necessario venire via, perché là continua a esserci una dittatura e se fossi rimasto lì avrei fatto solo la guerra. Purtroppo l’Africa è un luogo dove gli Stati sono sempre in conflitto. Per questo la gente fugge con i barconi, altrimenti ti sparano dietro. Del mio Paese mi porto dentro la solidarietà tra le persone, la sensibilità, l’altruismo e la vita comunitaria. Gli occidentali invece sono cementati,  rinchiusi nelle loro celle d’isolamento, fanno fatica a essere solidali».

Oltre la gratitudine che riguarda quest’ultimo libro, nella sue opere c’è il tema forte della nostalgia della sua terra. Questo sentimento è cambiato nel corso degli anni o è rimasto uguale?

«La nostalgia non è cambiata, è rimasta immutata negli anni. E’ come un tumore benigno che mi porto dentro. E’ la stessa Nostalgia della poesia omonimia pubblicata all’interno del mio primo libro di poesie “Akhiria” uscito nel 1996».

Nostalgia

Conosci il sentimento della 

nostalgia? 

Immagina un giovane baobab 

in erba 

egli conosce il calore del sole 

lo chiama, minuto per minuto 

scandendo il tempo, 

grado per grado. 

Conosce le vibrazioni della pioggia che 

desidera e ama 

dissetante e rinfrescante 

egli sente le voci 

delle mille specie di uccelli 

che popolano la foresta, 

i canti delle scimmie 

il sorriso del mattino 

il bacio della sera.

Immagina ora 

questo giovane forte baobab 

strappato dalla sua terra, 

trasportato e dopo 

un lungo viaggio, 

piantato 

su un pezzo di prato 

relegato ai margini della 

strada 

nella grande città del nord 

ebbene, credimi 

se sarà abbastanza forte 

da non morire 

avrà energia per un solo sentimento: 

la nostalgia.