
Se è vero che quest’anno il Festival delle Culture di Ravenna, annullato per cause di forza maggiore, ci mancherà moltissimo, è altrettanto vero che Abdulrazak Gurnah, il premio Nobel per la letteratura 2021 che questa mattina, al Teatro Alighieri di Ravenna, ha incontrato gli studenti, ce na ha restituito un po’ di atmosfera.
Gurnah, che ha ricevuto dal Comune il Premio Intercultura, ha innanzitutto invitato le centinaia di ragazzi e ragazze presenti a «tenere la mente aperta come Ulisse», un collegamento con il XXVI canto dell’Inferno letto ieri davanti alla Tomba di Dante. Da ex rifugiato in Inghilterra, lo scrittore ha parlato di come oggi, spesso, i Governi usino la parola «rifugiato» a sproposito, in maniera criminalizzante, intendendo tutte le persone che, arrivando da altri Paesi, turbano un equilibrio, una pace. Una mentalità purtroppo, ancora oggi, diffusa, visto che le persone tendono a fidarsi di chi ha il potere, di chi è autorevole, di chi pare saperne di più.

Da qui, l’importanza delle parole, del lessico che noi scegliamo ogni giorno di usare: «Le parole strutturano i pensieri, ci fanno comprendere le cose. Dire clandestino ha un significato, dunque teniamo gli occhi e le orecchie aperti quando i politici cercano di convincersi delle loro verità, che spesso non lo sono per niente».

Gurnah ha poi parlato del razzismo quotidiano che anche lui ha subito dalla sua migrazione in poi: «Non pensiamo al razzismo solo come alla violenza fisica. Il razzismo c’è quando si cerca lavoro, quando si chiede assistenza, quando i bambini vanno a scuola. C’è nelle intimidazioni, c’è nel modo in cui la polizia, per esempio in Inghilterra, tratta i giovani neri». Secondo Gurnah, per tutelarsi è meglio non reagire: «Preferisco il silenzio, la fuga, l’auto-tutela. Anche i personaggi dei miei libri reagiscono così: non significa essere deboli, semplicemente penso che esibire la propria rabbia non sia efficace».
Tra le tante domande degli studenti, quella di Abubacarr, 16 anni, minore straniero non accompagnato, che visibilmente emozionato, è riuscito comunque a raccontare la propria storia, segnata dalla estrema povertà della sua famiglia, in Gambia, dalla morte del padre e dal difficile viaggio verso l’Italia: «Mi piacerebbe diventare un insegnante, vorrei diventare uno scrittore», ha detto il ragazzo cercando in Gurnah un consiglio.
«Se vuoi diventare uno scrittore – gli ha risposto il Nobel – semplicemente scrivi, senza preoccuparti di vincere chissà cosa».

(Le foto sono di Marco Parollo)