Giornata della lingua madre, Titilope Hassan: «Noi mediatori, ponti tra culture»

Lunedì 21 febbraio si celebra la Giornata della lingua madre e per l’occasione il Centro interculturale Casa delle Culture di Ravenna propone un incontro dedicato alle letture in «MammaLingua», in italiano e pigin. Lo stesso evento si svolgerà anche in altre biblioteche della città. A prima vista si potrebbe non comprendere fino in fondo l’importanza di conoscere una lingua straniera, come ad esempio il pigin, variante «spicciola» dell’inglese parlata in Nigeria, soprattutto per chi vive in Italia, per chi ci è nato e cresciuto. In realtà, dietro a queste lingue si cela un mondo molto più complesso, più articolato, che porta alla luce l’importanza anche di certe figure e ruoli professionali, come quello dei mediatori e delle mediatrici culturali.

Titilope Hassan

Chi è esattamente un mediatore? E cosa fa? Ne abbiamo parlato con Titilope Hassan, mediatrice culturale della cooperativa sociale Terra Mia, nata a Lagos, in Nigeria, che vive a Ravenna da ormai 15 anni. Hassan è arrivata nel nostro Paese da sola, lasciandolo la sua famiglia per seguire il compagno di allora, un ravennate. Una scelta fatta dunque principalmente per amore. A Ravenna è iniziata la sua esperienza professionale da mediatrice.

«Nel ’97, io e un gruppo di compaesani abbiamo capito quanto contasse studiare l’italiano per vivere meglio e per riuscire ad integrarci nel tessuto sociale della città. Così ho imparato bene l’italiano grazie ai corsi organizzati dall’associazione “Mappamondo”. Dopo, ho iniziato a collaborare come mediatrice culturale per la Cooperativa sociale Il Cerchio.Tenevo corsi di formazione per chi voleva diventare mediatore. In quegli anni era una figura molto ricercata da moltissime realtà del territorio, perché gli stranieri che arrivavano in Italia non conoscevano l’italiano e gli italiani parlavano poco l’inglese. Comunicare con gli sportelli, negli ospedali, nei consultori, a scuola, era praticamente impossibile».

Il mediatore, dunque, aiutava a comunicare, ad avviare pratiche burocratiche, ricevere assistenza sanitaria, avere accesso ai servizi e soprattutto accompagnava i bambini stranieri nel percorso di integrazione scolastica: «Io che parlo bene sia inglese che il pigin, ad esempio, ho lavorato per tanti anni nei consultori familiari e nelle scuole, dove è fondamentale dare supporto a quegli studenti da poco arrivati in Italia, che non conoscono l’italiano. Spesso sono bambini che subiscono di riflesso la scelta di trasferimento dei genitori e così si trovano costretti dall’oggi al domani a lasciare la loro casa, i loro compagni di scuola, le loro amicizie. Ad un certo punto il loro mondo si sgretola e va ricostruito, soprattutto, nelle relazioni sociali. Farcela da soli è praticamente impossibile, sopratutto se non si conosce la lingua. Ecco allora l’importanza di avere accanto un mediatore scolastico, che può accompagnarli lungo questo percorso di integrazione, in classe, con le maestre, con lo studio e nella comunità. A volte infatti i fenomeni migratori travolgono principalmente i figli di chi parte, perché sono ragazzi che si ritrovano catapultati in una nuova realtà senza sostegno e persone a cui fare riferimento».

Oggi Hassan, tramite la cooperativa Terra Mia, offre servizi di mediazione in tutto il territorio della provincia, laddove viene fatta richiesta: Croce Rossa, Polizia, Servizi sociali, avvocati, carceri e associazioni contro la violenza sulle donne.

Ma cos’è cambiato rispetto al 1997? «Quando ho iniziato questo lavoro, gli stranieri avevano meno possibilità e pochi italiani parlavano bene l’inglese. Oggi, anche se le emigrazioni sono in aumento, le realtà territoriali, gli enti e le strutture assistenziali organizzano tanti corsi in lingua italiana per aiutare gli stranieri ad integrarsi e a trovare un lavoro. E ci sono tantissime persone che parlano bene l’inglese. Una volta era necessario avere una mediatrice nigeriana per comunicare con un nigeriano. Oggi anche mediatori filippini possono dialogare con chi proviene dalla Nigeria. C’è una rete sociale più fitta e consolidata. Il nostro ruolo  resta comunque molto importante, perché non è solo una questione di comprensione e traduzione della lingua. Rende di più l’idea immaginare i mediatori come “ponti” tra le differenti culture, i diversi modi di vivere, pensare, le tradizioni e le abitudini. Spieghiamo agli stranieri cosa devono fare, cosa dice la legge italiana, come devono comportarsi. Parliamo con i loro medici, avvocati, terapisti. Ricordo ancora un episodio accaduto in un ospedale. Una donna straniera, che non conosceva l’italiano, dopo aver partorito, aveva affidato al marito la comunicazione con i medici. Il parto aveva richiesto un cesareo d’urgenza e c’erano state delle complicazioni. Il marito, che capiva poco l’italiano, diede al medico il consenso a chiudere le tube della moglie. Un errore che le costò caro, perché dopo alcuni anni, desiderosa di avere un secondo figlio, non potè più farlo. Per evitare simili e gravi incidenti resta fondamentale che sia un mediatore, preparato e formato, a dialogare con la famiglia e il professionista, in questo caso sanitario».

Titilope Hassan pensa inoltre che sia molto proficuo per i figli degli stranieri, anche se nati e cresciuti in Italia, conoscere, oltre l’italiano, anche la lingua di appartenenza, su cui si fondano le loro origini e tradizioni: «Con i miei figli parlo in italiano, ma anche in yoruba, dialetto della lingua pigin. Sono i miei “oko”, che nella nostra lingua vuol dire “amore”. Non lo insegno loro forzatamene, semplicemente lo parliamo in casa mischiandolo alla lingua italiana. Credo che oltre a mantenere una connessione con le proprie origini, conoscere più lingue sia un’enorme ricchezza. Un grande vantaggio, che permette di aprire la mente, di conoscere nuove persone, di poter parlare con loro, comprenderne la cultura, le usanze. I miei ragazzi a scuola stanno imparando anche il russo, lo spagnolo e l’inglese. E questo per me è importantissimo. Tutti i giovani di oggi dovrebbero essere plurilingue se vogliamo arrivare ad una sana integrazione. Solo così getteremo basi solide su cui edificare una vera società interculturale».