Che poi basterebbe ascoltare Ghali, che poi sarebbe sufficiente cogliere, in quella suggestione «Un italiano vero», il senso che mille parole non riuscirebbero a trasmettere, forse nemmeno mille libri. Quanta potenza, quando la musica si fa politica, nel senso più etimologico del termine, che attiene alla polis.
Nella serata dei duetti del Festival di Sanremo, ieri sera, insieme a Ratchopper il rapper attacca a cantare in arabo, Dio quanto è bello l’arabo. Quanta musica, già solo in quella lingua estranea a un certo palco. Le parole sono quelle di «Bayna», poi tradotte poco dopo: «Tra me e te il Mediterreano, il volto familiare di un estraneo. Non parlan bene di noi al notiziario». Bayna è anche il nome della nave umanitaria donata da Ghali a Mediterranea.
Il medley prosegue con «Cara Italia», che è una lezione sullo ius soli, sulla cittadinanza, pezzo famosissimo e fondamentale: «Quando mi dicon va’ a casa, rispondo sono già qua». E da lì Toto Cotugno. Chi lavora con i migranti, sa quanto la sua canzone più popolare sia cantata in tutto il mondo, dall’Albania alla Costa d’Avorio. Non c’è una volta in cui, mettendomi alla guida del pulmino della comunità in cui lavoro, qualcuno non la metta su.
«Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero.
Io sono un italiano, un italiano vero».
As-salāmu alaykum.