Elena Stancanelli e le Ong in mezzo al mare: «Ogni storia inizia con un’accoglienza»

«Non mollare. Non mollare la presa sul linguaggio». Ci vogliono parole giuste. Ci vogliono parole nuove. Specie per raccontare di temi che scottano, che dividono, che vengono strumentalizzati e abusati. Come il soccorso in mare dei migranti a opera delle Ong.

Sono andata a riprendermi «Venne alla spiaggia un assassino» di Elena Stancanelli (La Nave di Teseo). Per quanto sia stato pubblicato nel 2019, potrebbe essere stato scritto ieri, oggi, forse anche domani.

Perché c’è un barcone con sessanta persone che stanno per lasciarci la pelle. Ma per l’Italia quella imbarcazione è in acque maltesi e per Malta in acque italiane. Perché chi di dovere alza le braccia, non è sua competenza, la legge del mare che cos’è. Proprio come avviene ora.

Elena Stancanelli, quando si è imbarcata sulla Mare Jonio, non ha salvato proprio nessuno. Ma il suo è un racconto da dentro, che è l’unico di cui abbiamo bisogno per capire. Quel dentro dove si vomita e si dorme poco e male, dove ci si lava il minimo indispensabile e fa freddo, ma dove forse si ha «la sensazione di stare nel posto giusto».Ma soprattutto, dove le parole escono giuste perché partono dal corpo, dallo stare lì in mezzo al Mediterraneo («the river», perché ti imbarchi dalla Libia e in tre ore, se sei fortunato, arrivi), proprio come diceva Sandro Veronesi nell’appello a cui anche Stancanelli ha risposto: «Bisogna rompere gli indugi e metterci il corpo». Su quelle navi, in mezzo al mare di notte, mentre si dondola.

Ci sono tanti personaggi significativi in queste dense pagine, personaggi che spesso rimandano ad altre letture. Come Cristina Cattaneo e il suo certosino lavoro per identificare i morti dei naufragi. Come Josefa, salvata da Open Arms quando era già stremata, traumatizzata, appesa a un pezzo di legno in mezzo al mare. Quella Josefa con i capelli che da neri le diventano bianchi in poche ore per lo choc, ma che viene strumentalizzata da più parti perché aveva lo smalto rosso.

Come Ani, Anabel Montes Mier, la bagnina spagnola con i capelli blu, che per salvare i migranti in mare deve poi rispondere alle accuse di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

L’esercizio di umiltà di Stancanelli, come lei lo chiama, è anche un modo per essere al centro di qualcosa, della storia, della vita, e non ai margini di una società isterica. Perché «gli uomini e le donne che salvano gli altri sono più belli, e anche più felici. Di me, ma anche di quasi tutte le persone che conosco». Perché in fin dei conti ogni storia inizia con un’accoglienza, con una porta che si apre, con la risposta allo sguardo di uno sconosciuto.