Sabrina Efionayi avrebbe quasi voluto scrivere in prima persona, se solo non avesse avuto l’urgenza di guardare il proprio passato dall’alto, se solo chiamare la sua bambina protagonista Sabrina (scegliendo, dunque, la terza persona) non l’avesse aiutata ad affrontare il ”troppo” e funzionasse da medicina.
Il troppo è una biografia densa di dolore, la sua, figlia di Gladys, una ragazza nigeriana vittima di tratta che finendo, a Castel Volturno, nelle maglie della prostituzione, di fatto affida la sua figlia ai vicini, che se ne prendono cura e la crescono come fosse la loro.
Perché no, quando lavori per una “madame”, una gravidanza è un impiccio, figurarsi una neonata. Perché quando sei sfruttata e devi consegnare parte del guadagno a Joy, la donna che ti tiene in pugno, una figlia mica la puoi crescere da sola.
«Addio, a domani. La mia incredibile storia vera» (Einaudi) è un libro toccante che inizia con una bambina appena nata consegnata a una donna, Antonietta, che per tutto il libro sembra legata da un cordone d’amore alla mamma biologica Gladys. Due donne legate, anche senza esserselo dette, da un patto: proteggere quella bambina che non potrebbe crescere nell’ambiente in cui è nata, farla diventare grande nel migliore dei modi, restituendole la speranza che Gladys, arrivata dalla Nigeria piena di illusioni, ha ormai perso, almeno per se stessa.
E allora vediamo Sabrina farsi ragazza, portando sempre, sulle spalle, un fardello, il peso del suo passato e quel bisogno di dare spiegazioni agli altri che non capiscono, fanno domande o si meravigliano. Antonietta diventa allora, nelle giustificazioni di Sabrina, una madre adottiva, anche se nessuna formalità ha mai sancito nulla, se non l’amore di una donna per una bambina che ha visto nascere dall’altra parte della strada rispetto a casa propria, con poche possibilità di avere davanti a sé un futuro.

Ma non c’è solo quello zaino, a condizionare la crescita di Sabrina. C’è anche un’identità che oscilla continuamente, perché per gli italiani non è abbastanza italiana e per i nigeriani non è abbastanza nigeriana. Perché in Nigeria si offendono nel non vedere Sabrina “come loro” (lei è atea e non cucina un fufu abbastanza piccante). E perché nascere e vivere in Italia da genitori stranieri significa non essere considerata, nei fatti, italiana.
E perché essere nera, essere donna e vivere tra Castel Volturno e Secondigliano significa doversi spesso difendere.
Allora «Addio a domani» diventa, sollevando lo sguardo ben sopra il privato di Sabrina Efionayi, un manifesto contro il razzismo, un saggio sulla complessità di costruirsi un’identità, un inno alla famiglia nel senso più contemporaneo e plurale del termine, una saggio sulle migrazioni e lo sfruttamento, ma anche sulla cittadinanza. E anche un lunga poesia sulle donne.