Dossier immigrazione 2022, Vanelli: «Anche la popolazione straniera invecchia. Ecco perché»

Foto di Luca Gambi dal Festival delle Culture di Ravenna 2021

Il Teatro Orione di Roma ha ospitato di recente la presentazione del 32° Dossier Statistico Immigrazione a cura del Centro Studi e Ricerche IDOS, in collaborazione con Confronti e Istituto di Studi Politici «S. Pio V» e dell’Otto per Mille della Tavola Valdese. «Un evento dedicato a tutti i migranti reali, eppure assenti. O perché non sono mai partiti – afferma Luca Di Sciullo, presidente di IDOS, che ha introdotto il nuovo Rapporto – rimanendo bloccati nelle terre d’origine ad affrontare guerre, disastri ambientali e povertà, oppure perché sono partiti ma non sono mai arrivati, perché sono morti durante il viaggio, o rimasti bloccati nei campi di detenzione o nei campi profughi, o anche perché da mesi da mesi sono impegnati nel “game” per raggiungere l’Europa sulle rotte balcaniche, dai cui confini vengono respinti con violenza. Ma lo vogliamo dedicare anche a tutti coloro che pur essendo partiti e arrivati, sono rimasti invisibili, perché sequestrati nei ghetti o ostaggio dei caporali. Dopo trentadue anni con il Dossier Statistico vorremmo contribuire con la forza dei numeri a innalzare la società alla statura umana che le compete, seguendo la legge scritta nelle nostre coscienze, che ci costituisce come esseri umani, e che è stata troppo spesso calpestata, rendendo la vita dei migranti un inferno». Un capitolo del Dossier si concentra sulla situazione «immigrazione» in Emilia-Romagna, curato dal docente dell’Alma Mater di Bologna Valerio Vanelli, che chiarisce il contesto attuale e presenta sulla carta i possibili scenari futuri.
Oggi i cittadini stranieri residenti in Emilia Romagna sono quasi 600mila, con un incremento di oltre 4.400 unità (+0,8%) rispetto al 2020. Che scenario futuro possiamo immaginare?
«L’incremento – comunque contenuto, di meno dell’1%, rispetto a quelli a cui la regione è stata abituata soprattutto nella prima decade degli anni Duemila – era del tutto atteso, dopo il 2020 che è stato l’anno di esplosione della pandemia da Covid-19, con tutte le implicazioni da essa derivate da un punto di vista sanitario, sociale, economico, occupazionale e, naturalmente, della mobilità, interna e internazionale. Sebbene la fase pandemica non sia ancora terminate, il 2021 ha costituito un anno di relativa stabilizzazione da un punto di vista demografico, da questo punto di vista una sorta di “ritorno alla normalità”. Si deve comunque ricordare che la popolazione complessiva residente in Emilia-Romagna anche nel 2021 risulta in flessione, seppur in maniera più contenuta rispetto al 2020. Si conferma comunque l’inversione di tendenza rispetto al periodo pre-Covid, quando la popolazione emiliano-romagnola continuava ininterrottamente a crescere, in un contesto che invece a nazionale era di progressiva contrazione. Il decremento, come detto, non riguarda i residenti con cittadinanza straniera, ma solo gli italiani (oltre 9mila residenti in meno), in particolare nelle fasce degli under-15enni (in particolare la popolazione di meno di 10 anni, a causa della denatalità che investe la nostra regione e il resto del Paese da oltre un decennio) e dei 30-44enni. Gli scenari ipotizzati per il prossimo future indicano a livello regionale una sostanziale stabilità del saldo migratorio totale, considerando cioè sia il saldo interno che quello con l’estero. Il saldo positivo di quest’ultimo è determinato esclusivamente dalla componente straniera della popolazione, compensando il fatto che negli ultimi anni il saldo migratorio con l’estero dei residenti di cittadinanza italiana è divenuto negativo (mentre il saldo interno, con le altre regioni italiane, è determinato principalmente dalla componente italiana della popolazione)».
Quali i passi da compiere a livello regionale per dare risposte efficaci a questi flussi in aumento?
«Il fenomeno migratorio non può più minimamente essere trattato come un qualcosa di emergenziale. Ciò premesso, la Regione ha il compito di delineare le strategie e le politiche di integrazione e di definire un coerente sistema di interventi e servizi sul territorio. In particolare, la Legge regionale 5/2004, “Norme per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati”, indica l’obiettivo di favorire una maggiore coesione sociale fra vecchi e nuovi residenti, fornisce linee programmatiche per l’inclusione dei cittadini stranieri nei diversi ambiti della vita quotidiana (lavoro, scuola, casa, ecc.), per il contrasto alle discriminazioni, per facilitare il dialogo e confronto fra culture differenti. In questa cornice normativa, gli interventi per l’integrazione sociale dei cittadini stranieri sono definiti nell’ambito dei “Piani di zona distrettuali per la salute e il benessere sociale”, lo strumento fondamentale di programmazione regionale per il sistema integrato di interventi e servizi sociali. Ci sono poi, naturalmente, il fondamentale raccordo con tutti i soggetti e attori del territorio (scuola, università, Asl, ecc.) e gli interventi specifici, come quelli per i rifugiati e i richiedenti asilo nell’ambito della complessiva programmazione sociale e sanitaria, quelli per il sostegno agli organismi di partecipazione alla vita pubblica e di rappresentanza dei cittadini stranieri promossi dagli enti locali, le azioni che riguardano i minori e via dicendo».
Ci spieghi meglio in cosa consiste il progetto Oltre la strada , avviato dall’Emilia-Romagna insieme ad altre Regioni italiane
«Mediante il sistema Oltre la strada, in tutto il territorio regionale vengono realizzati da diversi anni i Programmi di emersione, protezione e integrazione sociale (ai sensi dell’art. 18 D. lgs. 286/98), volti a garantire percorsi di autonomia e inclusione alle persone vittime di varie forme di sfruttamento (sessuale, lavorativo, accattonaggio, attività illegali, espianto di organi), di riduzione e mantenimento in schiavitù, e di tratta di esseri umani. Si tratta di interventi di prossimità e di promozione della costante collaborazione con tutti i soggetti del territorio che possono entrare in contatto con potenziali vittime (dunque forze dell’ordine, autorità giudiziaria, servizi sanitari, sportelli sociali, sindacati, ispettorati territoriali del lavoro, ecc.). A partire dal 2015, di fronte al forte aumento dei cosiddetti flussi non programmati lungo la rotta del Mediterraneo centrale, la questione delle vittime di tratta ha sempre più riguardato persone richiedenti protezione internazionale, che dunque hanno costituito uno dei principali ambiti di intervento dei progetti del sistema Oltre la strada».
L’età media dei cittadini stranieri è di 34,7 anni, quella degli italiani di quasi 48 anni. Ci può commentare questo dato?
«La struttura anagrafica decisamente più giovane è un carattere distintivo della componente straniera residente (in Emilia-Romagna così come nel resto d’Italia) rispetto a quella italiana. Se si guarda alla distribuzione per età dei cittadini stranieri e di quelli italiani, si osserva per i primi una piramide con una base decisamente più larga, una notevole incidenza di giovani adulti di 25-45 anni e un assottigliarsi via via che si considera la popolazione anziana e, soprattutto, grande anziana, in particolare fra gli uomini. L’elemento di novità e di interesse che si è cominciato a cogliere negli ultimi anni è l’invecchiamento anche della popolazione straniera, oltre a quello, noto ed evidente, degli italiani. Infatti, se più sopra si è parlato di un nuovo aumento della popolazione straniera residente in Emilia-Romagna, ora si può aggiungere che tale variazione complessiva di segno positivo è il risultato di andamenti diversi nelle diverse fasce di età: la popolazione straniera sotto i 45 anni perde consistenza a favore della popolazione più adulta e anziana. Ciò è dovuto a diversi fattori. Innanzitutto, la flessione del numero di nati stranieri in corso da un decennio (ricordiamo che una popolazione invecchia innanzitutto per effetto di un calo della natalità), il fatto che le acquisizioni di cittadinanza riguardino principalmente giovani adulti e minori che, dunque, acquisita la cittadinanza italiana, escono naturalmente dal conteggio dei cittadini stranieri residenti; non meno rilevante, la diminuzione – rispetto al decennio precedente – dei nuovi ingressi dall’estero di cittadini stranieri che sono stati tradizionalmente caratterizzati da un’età media attorno o inferiore ai 30 anni».

Foto di Luca Gambi dal Festival delle Culture di Ravenna 2021


In un capitolo del Dossier si parla di deterioramento della condizione lavorativa degli immigrati. Non crede valga anche per i lavoratori italiani?
«Il 2021, dopo il crollo nel 2020 determinato dall’esplosione della pandemia da Covid-19, è un anno di ripresa dell’occupazione, a livello regionale e nazionale. I cittadini stranieri nel 2020 hanno subìto un maggiore impatto occupazionale negativo dalla pandemia e il recupero del 2021, seppur più accentuato di quello degli italiani, lascia comunque un divario rispetto ai livelli pre-pandemici più elevato: a livello nazionale il numero di cittadini stranieri occupati è di oltre il 5% inferiore a quello del 2019, mentre per gli italiani tale flessione è del 2,1%. Anche la disoccupazione aumenta – a fronte di un calo degli inattivi – più per i cittadini stranieri che per quelli italiani. Come sottolineato nel nostro capitolo, ma il discorso vale anche a livello nazionale, prima la crisi economico-finanziaria avviatasi negli Stati Uniti nel 2007 poi la pandemia hanno avuto ricadute negative soprattutto per la componente straniera della popolazione, specie perché essa è concentrata in settori che, a causa dei lockdown e delle varie restrizioni imposte per il contenimento dei contagi, hanno subito il blocco dell’attività (si pensi all’edilizia e alcuni comparti del manifatturiero, già pesantemente colpiti dai precedenti anni di crisi) o che hanno subito notevoli impedimenti a causa della limitazione della mobilità, come nel caso delle attività di cura domestica, del “badantato”, ecc. Per i lavoratori stranieri resta poi evidente il problema di un mercato del lavoro che qualcuno definisce “ristretto”: il loro inserimento lavorativo avviene prevalentemente nel mercato del lavoro secondario, caratterizzato da lavori manuali e di bassa qualifica. E oltretutto, a differenza di quanto si osserva in altri paesi (ad esempio negli Stati Uniti) questa condizione non muta all’aumentare degli anni di permanenza in Italia e dell’anzianità lavorativa (l’unica variabile che sembra in grado di impattare positivamente è il titolo di studio). Un ulteriore elemento di svantaggio è costituito dal part time involontario, determinato cioè da mancanza di occasioni di lavoro a tempo pieno e non per scelta, che sembra maggiormente appannaggio dei lavoratori – e soprattutto delle lavoratrici – con cittadinanza straniera più che per gli italiani. Analisi presentate nel Dossier Statistico per il livello nazionale considerano congiuntamente questo svantaggio e il contratto di lavoro a termine individuando i lavoratori non standard come coloro che sono caratterizzati da una o da entrambe queste vulnerabilità. Emerge che fra i lavoratori stranieri oltre un terzo risultano vulnerabili, mentre fra i lavoratori italiani tale quota scende al 20% circa. I cittadini stranieri tendono dunque a collocarsi nelle qualifiche più basse del mercato del lavoro, percepiscono salari meno elevati, permangono – anche quelli regolarmente presenti sul territorio – più a lungo nell’economia informale. Inoltre hanno meno di frequente degli italiani il supporto della propria rete famigliare estesa, ma contemporaneamente hanno frequentemente degli obblighi verso i componenti della propria famiglia estesa rimasti nel paese di origine (mi riferisco a genitori, fratelli, coniugi, figli a cui vengono destinate le rimesse). Sempre a proposito di famiglia, si deve infine ricordare che gli stranieri presentano generalmente nuclei famigliari più ampi e, di conseguenza, anche a parità di retribuzione e reddito, hanno maggiori probabilità di trovarsi in condizione di povertà individuale e famigliare (il tema è ampiamente trattato nel recente volume di Chiara Saraceno, Benassi e Morlicchio). Sicuramente occorre ragionare sulla gestione dei flussi. Il decreto flussi, che costituisce il principale strumento di gestione degli ingressi per motivi di lavoro, fra il 2014 e il 2020 è stato ridotto ai minimi termini (appena 13 mila ingressi non stagionali all’anno), con una lieve inversione di tendenza che si è registrata con il DPCM del 21 dicembre 2021 che prevede una quota di quasi 70 mila ingressi. Per superare un altro ostacolo, quello dei tempi della burocrazia che non sempre coincidono con i tempi delle imprese che mostrano una domanda di lavoratori in determinati periodi dell’anno (ad esempio nel comparto del turismo, il cosiddetto Decreto semplificazioni ha introdotto alcune modifiche alla disciplina relativa alle procedure di ingresso dei lavoratori stranieri. Sicuramente si tratta auspicabilmente di proseguire in questa direzione, con quote d’ingresso concordate con i rappresentanti delle forze produttive e di categoria e con procedure più veloci e snelle. Si deve inoltre ricordare che, proprio la mancanza di decreti flussi di rilievo, ha contribuito a modificare la composizione e la caratterizzazione degli stranieri in ingresso: sempre meno arrivi per motivi di lavoro e sempre più per motivi familiari (ricongiungimenti) e, specie alcuni anni fa, per motivi umanitari. Ciò ha significato vedere aumentare il numero delle famiglie di cittadini stranieri, di donne sole, specie dall’Europa centro-orientale e di minorenni».