Il nome della nobildonna Elena Ghika oggi, forse, giunge nuovo alle orecchie di moltissimi di noi.
Tuttavia, nel XIX secolo, Dora d’Istria (questo lo pseudonimo con cui aveva scelto di farsi chiamare), venne paragonata per importanza a Mary Shelley e a quella Madame De Staël che campeggia nei capitoli di letteratura dei libri scolastici.
In effetti, è difficile immaginare come una tale figura di intellettuale – salutata, ad esempio, da Giuseppe Garibaldi come «un Eroe – sorella, un’anima volta ai più alti ideali» – sia caduta oggigiorno quasi nel dimenticatoio.
Figura complessa, di intellettuale a tutto tondo, quella di Dora d’Istria. Proviamo a ripercorrere le tappe principali della sua vita. Nata a Bucarest nel 1828 da padre di origine albanese e da madre di origine greca, crebbe in un ambiente ricco di antichità, pitture, sculture e preziosi volumi che affrontavano i più disparati argomenti.
Successivamente, trascorse la giovinezza tra Vienna, Venezia, Dresda e Berlino – dove conobbe nientemeno che Alexander von Humboldt.
Trasferitasi insieme al marito a San Pietroburgo, se ne allontanò presto e, una volta rimasta vedova, continuò a viaggiare e studiare, indagando ogni possibile campo del sapere: storia, filosofia, religione, politica, economia, letteratura, folklore, etnografia, musica, arte…
Naturalmente, era anche poliglotta: parlava correntemente, oltre al romeno (sua lingua madre), l’italiano, il tedesco, il francese, il latino, il greco antico e moderno, il russo e l’albanese!
Tra le destinazioni delle sue peregrinazioni, ricordiamo: la Svizzera, la Grecia (era anche appassionata di archeologia) e l’Italia.
Dora amò molto il nostro Paese: visitò, tra gli altri luoghi, La Spezia, Napoli e Pompei, prima di trasferirsi a Firenze.
Nel 1865 fu anche a Ravenna: l’amministrazione l’aveva infatti invitata per assistere alle celebrazioni per i 600 anni dalla nascita di Dante Alighieri e lei raccontò il tutto nel libello Pélégrinage au tombeau de Dante.
Come se non bastasse, il 1 giugno 1860 divenne anche la prima donna a salire fin sulla cima del Monte Bianco. Si spense a Firenze, dopo una vita ricca di avventure e di continua e instancabile ricerca, nel 1888.
Lo pseudonimo che Elena Ghika scelse per sé incarna i principi in cui fermamente credeva. Il nome “Dora d’Istria”, infatti, testimonia sia un attaccamento alle proprie radici sia l’idea che il mondo e la cultura siano un patrimonio da condividere, che ci permettono di misurarci con la realtà in maniera tollerante e di acquisire uno sguardo cosmopolita sul mondo.
Infatti, l’Istro è il Danubio, un fiume che attraversa – e unisce – Paesi dall’Europa orientale a quella occidentale.
Dora d’Istria era – un po’ come quel fiume che mette in comunicazione Paesi distanti – una ferma sostenitrice degli ideali di libertà e di fratellanza dei popoli (in particolar modo delle popolazioni oppresse) da esercitarsi nei limiti della democrazia.
Insomma, una intellettuale che ha saputo fare della ricchezza e della varietà culturali le sue ‘armi’ principali, valorizzando le specifiche tradizioni che ha incontrato durante i suoi viaggi (e durante il “viaggio” della sua vita), nel rispetto e nella consapevolezza dell’importanza di ognuna di esse come patrimonio comune.
Per questo il messaggio che la nobildonna Elena Ghika, in arte Dora d’Istria, voleva trasmettere allora, risulta oggi più attuale che mai.