Dalla guerra in Ucraina in poi, forme di immigrazione inusuali: nuove cause e obiettivi

È stato recentemente pubblicato il nuovo rapporto regionale “L’immigrazione straniera in Emilia-Romagna. Edizione 2023”. Gli ultimi anni sono stati contrassegnati da un tipo di immigrazione imprevista e diversa da quella a cui siamo abituati, ci riferiamo al flusso migratorio dall’Ucraina, causato dalla guerra in atto con la vicina Russia. Poniamo alcuni quesiti in merito al sociologo Andrea Facchini, funzionario dell’assessorato regionale al Welfare della Regione Emilia-Romagna ed esperto di immigrazione, accoglienza e asilo.

Come ha inciso sul tema dell’immigrazione la vicina guerra in Ucraina? Quali sono state le problematiche immediate da affrontare e quali sono le attuali? Ci sono differenze rispetto alle problematiche da affrontare con immigrati di altre provenienze?

«A partire dalla fine di febbraio 2022, a seguito dell’aggressione russa all’Ucraina, il territorio regionale è stato raggiunto da oltre 26.00 persone provenienti da quel Paese; si è trattato di uno dei maggiori afflussi riscontrati a livello nazionale. Un flusso consistente ed inedito: oltre il 70% è infatti composto da donne ed oltre il 40% è composto da minori. Inoltre, oltre il 90% delle persone ha trovato una prima ospitalità presso soluzioni abitative private di connazionali o famiglie italiane. Le problematiche prevalenti dunque non sono state tanto sul versante dell’accoglienza abitativa (come avviene invece per gli immigrati che sbarcano in Italia), ma sulla necessità di assicurare un raccordo tra le famiglie ospitanti ed i servizi pubblici per garantire ai nuclei ucraini l’esercizio effettivo dei diritti alla salute, all’istruzione e per la presa in carico di fragilità sociali».

Crede che l’immigrazione dall’Ucraina rimanga soltanto un problema temporaneo o che si protrarrà negli anni?

«Nessuno può dire oggi quanto durerà la presenza di questi nuclei sfollati da situazioni di guerra. In questo senso il mio invito è sempre quello di considerarli una presenza non temporanea, perché questa idea della transitorietà può essere un alibi per trattamenti di qualità inferiore e per logiche sostanzialmente custodiali che ritardano percorsi di effettiva inclusione. Se poi, alla fine di questo conflitto, decideranno di rientrare in Ucraina, penso che rimarrà sempre una connessione con questo territorio, perché molto spesso qui hanno parenti, amici, e quindi tutto ciò potrebbe essere capitalizzato nell’ottica di un aiuto alla ricostruzione del Paese da parte del nostro sistema economico e di imprese».

Quali sono gli obiettivi dei cittadini ucraini rispetto a cittadini di altri Stati?

«Penso che l’obiettivo sia trovare una strategia di autonomia qui e allo stesso tempo mantenere un legame con l’Ucraina e con le persone che vivono o stanno combattendo (molti mariti o figli). Assistiamo ad una forte mobilità, del resto sono famiglie che hanno bisogno di abbracciare i loro cari (ad esempio in licenza militare per qualche giorno)».

Dalla tavola 10 sul rapporto occupazionale emergono alcuni dati interessanti: in primis la difficoltà maggiore per le donne di trovare occupazione, ma poi anche una maggior percentuale di occupati stranieri giovani, se non giovanissimi. Quest’ultimo aspetto di potrebbe, immagino, giustificare con l’accesso in Italia di persone tendenzialmente giovani, ma come possiamo motivare il fatto che il tasso di disoccupazione sia circa tre volte superiore per la fascia di età 15-44? Il calcolo è ponderato?

«Il tema è assai complicato. Provo a dare qualche elemento per aiutare a comprendere il dato dell’alto tasso di disoccupazione. Intanto vi è un elemento normativo: ricordiamoci che i cittadini stranieri per poter stare sul territorio nazionale devono avere un lavoro per ottenere il permesso di soggiorno, quindi per un cittadino straniero il concetto di disoccupazione è piuttosto stringente , ed infatti collegandolo alla necessità di avere un lavoro, essi in assenza di lavoro devono dichiarare ufficialmente di essere alla ricerca attiva di un’occupazione e quindi risultano in banca dati “disoccupati”. Tutti passaggi che per un italiano non sono così stringenti. Poi ci sono elementi legati ad alcune difficoltà dei cittadini stranieri: spesso i titoli di studio non sono riconosciuti ma dichiarati dall’interessato ed alcune volte nel mondo del lavoro possono essere anche un freno all’assunzione se troppo elevati. Poi sappiamo che la limitata comprensione linguistica può essere un freno, come pure fattori culturali possono incidere per alcune etnie ma non generalizziamo su questo, vedasi ad esempio la propensione al lavoro delle donne provenienti dall’Est».

Nel 2023 quali sono state le novità più evidenti rispetto agli anni precedenti in tema di immigrazione?

«Essendo un fenomeno strutturale, le caratteristiche del fenomeno migratorio in questa regione non cambiano da un anno ad un altro. Siamo da sempre la prima regione per incidenza percentuale, abbiamo oltre il 17% di bambini nelle scuole, tra i neonati quasi 1 su 4 ha genitori non italiani, abbiamo oltre il 13% dei lavoratori stranieri che producono l’11% del PIL complessivo della regione. Se dovessi dire qualcosa in movimento..direi che dopo la stagione del Covid torniamo ad essere una regione attrattiva (sia come flussi dall’estero che come flussi interni da altre regioni) e notiamo una crescita di acquisizioni di cittadinanza italiana in particolare per ragazzi e ragazze sotto i 18 anni».

Esiste negli anni una costante auspicabile tendenza per gli immigrati giovani o per i nati in Italia da cittadini immigrati a migliorare il livello di studio? 

«In linea generale rispondo di sì, su questo rimando alle precise tabelle inserite nel Report sugli indici di ritardo ed i tassi di promozione. Esiste a mio avviso una criticità nella scuola secondaria di II grado, dove sono ancora troppo elevati i tassi di ripetenza degli alunni non italiani».