Torniamo a casa “innamorati” dei nostri ragazzi. Sono i pensieri che condividiamo prima di rientrare a Ravenna.
Siamo partiti giovedì a pranzo, con 12 minori stranieri non accompagnati e due neomaggiorenni al seguito, in direzione Montesilvano, in Abruzzo, dove saremmo stati accolti da una comunità simile a quelle in cui lavoriamo, nell’ambito del progetto Bridge – Building relationship through intercultural dialogue for new generation, per il quale il Comune di Ravenna ha ottenuto un finanziamento dal Consiglio d’Europa.
Egitto, Marocco, Gambia, Costa d’Avorio, Guinea, Albania, Pakistan e Bangladesh i Paesi dei nostri ragazzi, che oltre a fare gruppo con i minori di Montesilvano, hanno fatto di tutto per dimostrare di sapersi integrare: mangiare i piatti del posto, giocare a calcio, sbirciare i World Skate Game, il mondiale delle discipline rotellistiche, visitare la mostra “Along the border” di Chiara Fabbro in biblioteca.
«Io vorrei dire una cosa importante: sono molto felice di essere qui, questa esperienza mi piace tantissimo, grazie davvero a tutti». M.C., 18 anni, gambiano, si alza in piedi durante il laboratorio sul viaggio, sulle aspettative che i ragazzi avevano prima di arrivare in Italia e sullo zainetto – reale e soprattutto metaforico – che si sono portati in spalla.
«Io sono in Italia perché in Sudan non potevo rimanere. Ma il mio sogno è tornare a casa, per diventare il presidente del mio Paese». Sono le parole di un ragazzo della comunità minori di Montesilvano, che si prende uno scroscio di applausi.
C’è M.S., pachistano (l’unico del gruppo), che si sente in minoranza ma si avvicina comunque a tutti, chiacchierando, ballando, mangiando con gli altri. C’è la musica albanese a tutto volume sul pulmino, che proviamo a contrastare con un karaoke all’italiana, senza successo. C’è un bagno in mare sotto la pioggia, alle sette di sera, dove i confini non esistono più: ci sono solo le onde, l’aria frizzantina di settembre quando risaliamo dall’acqua, il fragore delle nostre risate, perché ci siamo divertiti da morire. C’è A.T., albanese, che si coccola Y.C. ivoriano, il più piccolo del gruppo. E infine F.K., che sull’autostrada verso casa ci manda un video nel quale ha montato qualche immagine di questi giorni. Ci sono molti cuori ma soprattutto una frase, e una canzone: «We are family».