Centri interculturali, «crescita inedita in Emilia-Romagna»

La Casa delle Culture di Ravenna

«Vent’anni fa vivevamo in un contesto nel quale c’era poca consapevolezza rispetto al fatto che la società sarebbe diventata interculturale. Oggi la sfida è mantenere un ruolo di avanguardia davanti ad attori che quella consapevolezza ce l’hanno eccome, valorizzando il pluralismo delle differenze, uscendo dai confini tradizionali e costruendo alleanze con soggetti nuovi». Andrea Facchini del Servizio Politiche per l’integrazione sociale, il contrasto alla povertà e terzo settore della Regione Emilia-Romagna annuncia così, guardando al futuro, l’evento che alle ore 9 di venerdì 3 giugno, all’Almagià di Ravenna (via dell’Almagià, 2), aprirà il Festival delle Culture 2022. La mattinata, dal titolo «I Centri interculturali protagonisti delle politiche locali di inclusione in Emilia-Romagna», vedrà un confronto tra le buone prassi dei Centri presenti in regione.
Facchini, quando sono nati i Centri interculturali in Emilia-Romagna e qual è il contributo più importante che hanno dato alla crescita di una cultura e di una società sempre più accoglienti e inclusive?
«Le prime esperienze di Centri sono nate nella seconda metà degli anni Novanta, dopodiché un vero sviluppo lo abbiamo registrato nei primi anni 2000. Sono servizi promossi quasi sempre dai Comuni, sono luoghi aperti alla cittadinanza, ad accesso gratuito, nati in un contesto di crescita elevata di persone che si stabiliscono in Emilia-Romagna. Sono nati con l’idea di essere un luogo di confronto teorico ma anche un luogo pratico per interventi e attività che fino a quel momento non erano stati implementati. Se allarghiamo lo sguardo, possiamo andare fino al 1986, quando nacque il Centro per la pace di Forlì. Passando al decennio successivo, risalgono al 1988 la nascita del Centro interculturale Movimenti di Cesena e al 1999 quella della Casa delle culture di Modena e del Centro Zonarelli di Bologna. Oggi abbiamo 18 Centri, un dato davvero unico se confrontato con il panorama nazionale. Una rete così estesa non esiste in altre regioni: si tratta di un modello dove a piccoli passi corrispondono grandi salti di qualità».
Possiamo citare alcuni esempi di buone prassi che in questi anni i Centri hanno realizzato e che possono costituire una sorta di modello esportabile anche altrove?
«Due anni fa abbiamo portato avanti un progetto di rete sulla cittadinanza, andando a osservare come vengono trattate e considerate le persone che la ottengono. Un lavoro che ha portato alla pubblicazione di linee guida e alla realizzazione di un kit a disposizione dei Comuni, dove ogni giorno avvengono i famosi giuramenti di fedeltà alla Repubblica italiana. Alcuni Centri, come quelli di Rimini, Parma e Bologna, si sono specializzati nel lavoro con le associazioni dei cittadini stranieri. La Casa delle culture di Ravenna ha lavorato fortemente sulla cultura come volano di integrazione, mentre per esempio Mondinsieme di Reggio Emilia ha una convenzione con gli istituti scolastici di secondo grado per un kit di interventi specifici. La lista potrebbe continuare con “Trame di terra” di Imola, che ha dato voce e protagonismo alle donne straniere».
Rispetto ai Centri, la situazione regionale o omogenea o ci sono realtà dove è stato più semplice lavorare e altre meno?
«Essendo nati sull’onda del desiderio dei Comuni più attenti e sensibili, è chiaro che non hanno una distribuzione ugualmente rappresentativa sul territorio regionale. Basta consultare la lista presente sul sito di Emilia Romagna Sociale per accorgersi che il Piacentino e il Ferrarese non ci sono esperienze. A Ferrara c’è stato un tentativo di dar vita a un centro itinerante, non identificato con un luogo fisico, ma la cosa non ha funzionato. Ci auguriamo che anche in quei territori possano presto nascere Centri interculturali».
Con l’evolversi delle normative in materia di immigrazione e con le trasformazioni sociali che nell’ultimo decennio sono avvenute in materia, come si sono adattati e come sono cambiati i Centri?
«Le normative possono avere condizionato l’evoluzione dei Centri ma non va dimenticato che lo stesso fenomeno migratorio è cambiato. Oggi abbiamo Centri sempre più intergenerazionali, sempre più specializzati per tematiche. E siccome da molti anni è entrato in crisi il sistema partecipativo i Centri, forse inconsapevolmente, sono diventati il punto di contatto dell’istituzione pubblica con il vasto mondo associativo migrante e stanno agendo da surrogato a un deficit di opportunità partecipative per i cittadini stranieri, che hanno diritti politici limitati». 
Il 3 giugno il fumettista Gianluca Costantini disegnerà un manifesto della Rete dei Centri interculturali: qual è l’obiettivo?
«A livello iconico, dopo la crescita e il lavoro degli ultimi anni, sentiamo il desiderio di simboleggiare il senso di ciò che abbiamo creato. Costantini lo farà a effetto sorpresa. A proposito di manifesti, mi preme ricordare anche quello sulla comunicazione istituzionale interculturale, che si compone di 12 principi e che è stato già adottato da una trentina di Comuni».

Andrea Facchini