Armonie, genitori e figli in terra di migrazione

Si è rivelato un vero e proprio concerto di idee, dialoghi, scambi di opinioni, dibattiti, esibizioni teatrali e note musicali. Tante piccole tessere di un unico “puzzle” che il 20 novembre presso la Rocca di Vignola hanno dato vita al convegno Armonie – Genitori e figli in terra di migrazione: quali approcci possibili. L’incontro, che rientra all’interno del Festival della Migrazione, è stato organizzato dal Centro per le Famiglie e Centro Stranieri dell’Unione Terre di Castelli in una data che coincide con la Giornata Internazionale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. «Ci siamo interrogate sull’esistenza di rappresentazioni culturali che riguardano la genitorialità a seconda della cultura di appartenenza», dice Elisa Vitali, operatrice del Centro Stranieri. «Abbiamo voluto approfondire la tematica della migrazione legata alla condizione di essere genitori e figli in un paese straniero da un punto di vista transculturale, perché crediamo in uno spazio di riflessione che diventa tanto più potente quanto è condiviso da un maggior numero di persone, per creare insieme un’unica Armonia», sostiene Chiara Grandi, Coordinatrice del Centro per le famiglie.

Durante il convegno l’associazione Meta-Morfosi ha messo in scena vissuti di persone migranti, coinvolgendo anche il pubblico, che ha raccontato alcune esperienze personali e creando così un’atmosfera di partecipazione collettiva nei confronti di una tematica dalle sfaccettature variopinte.

«E’ importante allargare lo sguardo su come i cervelli vengono plasmati all’interno delle diverse culture che portano al loro interno la rappresentazione del mondo. Nel processo di migrazione, il mondo di valori, credenze e tradizioni del paese in cui un migrante approda non corrisponde a quello della cultura di provenienza e questo crea un conflitto interiore all’interno della persona. E’ un evento destabilizzante che può provocare fragilità emotiva», dice Ilaria Oltolini, psicologa esperta in neuroscienze della Cooperativa Sociale CRINALI.

«Con la rottura dell’involucro culturale d’appartenenza vengono a mancare le strategie che consentono di affrontare le difficoltà. Questo può favorire la costruzione di sistemi d’attaccamento problematici che possono portare alla nascita di relazioni disfunzionali. E’ importante aiutare i genitori nell’elaborazione del trauma migratorio e promuovere modelli di attaccamento “sani”. Alcuni non vedono l’ora che i figli entrino nel nuovo mondo, ma hanno paura che questa nuova realtà li allontani da loro. Altri, li spingono verso un’acculturazione veloce, mettendo a rischio il mantenimento delle loro radici», dice Karina Scorzelli Vergara, counsellor , mediatrice linguistico culturale esperta nell’approccio transculturale e Presidente della Cooperativa Sociale CRINALI.

Diventa difficile essere padri o madri quando al proprio interno si alimentano emozioni contrastanti. Bisogna affiancare i genitori e lavorare per fare in modo che non trasmettino ai figli il trauma migratorio. La cultura d’appartenenza è fondamentale, lì è collocata l’origine della persona e deve essere mantenuta. «L’obiettivo è la costruzione di una “identità meticcia”, che significa conservare i propri valori culturali, ma all’interno di un nuovo mondo. Nasce quindi il concetto di “metissage”, cioè la capacità di tenere insieme la cultura d’origine con quella del paese d’arrivo», continua la mediatrice Karina Scorzelli Vergara.

In primis va dunque ricostruita l’identità dei genitori, accompagnandoli nel loro processo di ricongiungimento con le loro origini, senza però sostituirsi nel loro ruolo genitoriale. Promuovere la nascita di una relazione sana tra genitore e figli significa curare un modello che poi verrà trasmesso alle seconde, terze generazioni e così via. Diventare consapevoli del fatto che la mia cultura non è l’unica esistente, informarsi su come certe tematiche vengono affrontate presso altre popolazioni, sviluppare empatia, sono regole fondamentali per favorire un atteggiamento di apertura e convivenza pacifica. Nasce così l’idea di un “Contenitore Transculturale” che tiene conto delle rappresentazioni culturali di tutti gli attori, della migrazione come evento di ricostruzione della propria identità e quindi potenzialmente traumatico, dell’importanza del decentramento culturale come risorsa per la costruzione della fiducia reciproca.

«Voi siete gli archi, dai quali i vostri figli, come frecce viventi sono scoccati»
Khahlil Gibran