Incontriamo Marion Lucas per conoscere meglio l’associazione ANOLF Ravenna ODV, di cui è presidente, oltre a occuparsi dello sportello di Ravenna e Faenza.
Francese, cresciuta in Bretagna, emigra in Spagna a 20 anni per seguire un Erasmus a Cadice e poi per conseguire un diploma di laurea triennale in Lettere moderne in Andalusia. Fa volontariato per tre mesi in una casa famiglia in Perù e lavora per il resto dell’anno per un’agenzia di animazione in Spagna. Dall’esperienza peruviana capisce di volere una vita più a contatto con la realtà e le persone e prosegue gli studi in Italia, all’Università di Bologna, sede di Ravenna, conseguendo una laurea magistrale in Cooperazione internazionale e tutela dei diritti umani. Si stanzia a Ravenna pensando che fosse a pochi minuti di autobus da Bologna, fa una tesi e relativo con ISCOS Emilia-Romagna, dove rimane a lavorare dopo la laurea, luogo che lei stessa definisce «una realtà bellissima, per i suoi valori e le persone che li difendono con fervore». Scopre così il mondo di ANOLF. La sua storia, ci dice, «è quella di un privilegio», perché ha sempre avuto «i mezzi economici, il lusso del tempo e soprattutto il passaporto giusto per poter viaggiare e arrivare in Italia».
Come nasce l’associazione e cosa significa per la vostra associazione il Festival delle Culture di Ravenna?
«ANOLF Ravenna ODV, Associazione nazionale oltre le frontiere, è un’associazione di volontariato, che è presente a Ravenna (Faenza e Lugo), in tutte le province della Regione Emilia-Romagna e in diverse altre realtà in Italia. Sono soci cittadini italiani e cittadini con esperienza di immigrazione in Italia, personale o familiare. È nata negli anni 90 da un’intuizione della Cisl, quando l’Italia stava diventando sempre di più da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione, ed è poi diventata associazione autonoma del Terzo Settore. Anolf è luogo di ascolto, condivisione e risposta ai bisogni e alle aspirazioni di singoli e famiglie migranti, ma anche luogo di azione e proposta per tutti, per una società sempre più aperta e coesa e quindi capace di affrontare al meglio il futuro. Un futuro che secondo noi è possibile solo attraverso la conoscenza reciproca e la partecipazione. Abbiamo uno sportello che fornisce informazioni e supporto per le pratiche legate all’immigrazione (istanze di cittadinanza, decreto flussi, emersione del lavoro, ricongiungimento familiare, ecc.) e facciamo orientamento ai servizi del territorio. Siamo inoltre impegnati in progetti di educazione interculturale nelle scuole, a partire dalla corretta informazione sulla realtà delle migrazioni, di educazione alla pace e alla non discriminazione, lavoriamo per la valorizzazione delle nuove generazioni e cerchiamo di essere presenti in rete con altre associazioni su questi temi. Il Festival delle Culture è un bellissimo momento di condivisione ma anche di incontro con le altre organizzazioni del territorio che condividono la nostra visione del mondo in termini di pace e di solidarietà senza confini e che esprimono aspetti della propria cultura attraverso la musica, la danza, la poesia, la cucina o, ancora, il dialogo. Insieme, e ognuna a modo suo, raccontiamo storie di persone, di popoli, di luoghi, quello che compone la realtà interculturale di Ravenna e dintorni oggi giorno. Tutti insieme mettiamo in luce la diversità e ricchezza culturale presente a Ravenna dimostrando come le culture si intrecciano per dar vita alla società nella quale viviamo. Questa dimensione culturale per noi è molto importante e da qui la proposta dello spettacolo Poesiamadre, che è nato da un’idea di una nostra socia, Elisa Fiorani, sviluppata artisticamente da Veronica Bassani e Lorenzo Travaglini, e rappresentato per la prima volta a Faenza nel settembre del 2020, nel contesto del Wam Festival. Successivamente, è stato presentato al Festival delle Culture 2021 e quest’anno, per la terza volta, al Festival delle Culture 2022. Ogni anno, lo spettacolo evolve accogliendo nuovi lettori o nuove lettrici che entrano a far parte dell’avventura Poesiamadre, condividendo con il pubblico una parte della loro storia di migrazione sotto forma di poesia. Quest’anno, per la prima volta, lo spettacolo si concluderà con un lettura in bosniaco, dopodiché il lettore lascerà la parola alla peacebuilder Tamara Cvetkovic bosniaca erzegovese che racconterà la sua esperienza e la difficile ricostruzione del suo Paese, afflitto dalla guerra negli anni ‘90, una storia drammatica che è purtroppo sempre attuale. Questa testimonianza viene presentata in collaborazione con ISCOS Emilia-Romagna, una ONG di cooperazione internazionale e di difesa dei diritti umani che opera in vari Paesi del mondo, molto presente nei Balcani, e sensibilizza la cittadinanza italiana e bosniaca da anni riguardo alla memoria dell’accaduto negli anni ‘90, promuovendo una cultura della pace. Al Festival delle Culture sarà presente con immagini e citazioni tratte dal documentario e dal libro La pace fredda: è davvero finita la guerra in Bosnia Erzegovina? di Luca Leone e Andrea Cortesi, Regia Marcella Menozzi, pubblicato da Infinito Edizioni. La poesia crea un coinvolgimento emotivo con il pubblico e il suono di lingue diverse appare nella sua bellezza e ricchezza. Poesiamadre si può definire come uno spettacolo per esplorare le differenze e le somiglianze attraverso diversi universi poetici. Un viaggio tra suoni, parole, ritmi di poesie di autori affermati in lingua originale, letti da chi ha vissuto».
Di chi si occupa in particolar modo?
«L’associazione organizza eventi per sensibilizzare la cittadinanza o apre spazi di dialogo e di riflessione, ad esempio nelle scuole. Tuttavia, possiamo dire che Anolf si rivolge in primis agli stranieri presenti in Italia; ogni volta che hanno bisogno di un’informazione o di un consiglio, i nostri volontari fanno il massimo per indirizzare le persone verso i servizi più adeguati o per aiutare direttamente le persone se è nelle loro competenze. I volontari di Anolf sono consapevoli della complessità della burocrazia e del nostro sistema così come del suo aspetto mutevole. Sanno quanto sia difficile rimanere aggiornati e gestire le questioni amministrative quando si ha un lavoro, una famiglia, i propri impegni, preoccupazioni e obblighi sociali, soprattutto nel caso di persone che sono ancora in fase di apprendimento della lingua. I volontari dello sportello di Anolf provano sempre a rendere le informazioni più chiare possibili per aiutare chi ha bisogno e in modo da ottenere la loro fiducia. A Ravenna abbiamo la fortuna di avere volontari che parlano italiano, inglese, francese e spagnolo e ciò puó facilitare il dialogo. Anolf si occupa anche di formare nuovi volontari sui temi legati all’immigrazione per chi vuole dedicare tempo ed energia a questa causa solidale o impegnarsi in attività culturali con noi.
Quali sono, a Suo parere, gli interventi che la Pubblica Amministrazione potrebbe fare per essere ulteriormente di supporto alla Vostra associazione?
«Noi auspichiamo un coinvolgimento sempre maggiore di tutte le associazioni nella progettazione e programmazione delle politiche migratorie e di integrazione a livello locale. Siamo una piccola associazione, ma possiamo dare il nostro contributo, alimentato dall’incontro con tante persone nella nostra attività ordinaria e nei nostri progetti».
Quali sono le problematiche maggiormente riscontrate dalla vostra associazione e come cercate di risolverle?
«I volti e i bisogni dei nuovi cittadini non sono tutti uguali, a differenza di quello che raccontano alcuni stereotipi: accanto ai neo arrivati, tra i quali sono presenti anche persone con particolari fragilità (come i richiedenti protezione internazionale e minori non accompagnati), convivono le prime generazioni che stanno gradualmente arrivando alla pensione e famiglie con bambini nati o arrivati in Italia da piccoli. Si tratta di persone che lavorano, che frequentano la scuola, vivono il territorio in senso ampio e che, in diversi casi, sono anche diventati cittadini italiani o stanno cercando di diventarlo, alle prese con una legge sulla cittadinanza inadeguata ai tempi. Il fenomeno migratorio negli ultimi anni è cambiato: da un lato l’aumento dei flussi di ingresso non programmati in corrispondenza dell’aumento del numero di rifugiati e sfollati nel mondo, con la necessità di implementare un sistema di accoglienza diffuso e di qualità; dall’altro una migrazione sempre più transnazionale e un modello interculturale che si afferma nelle pratiche quotidiane, ma che non riflette la normativa e l’apparato amministrativo ad essa collegato. Da tempo l’Anolf, ma anche tantissimi altri attori che, a vario titolo, si occupano di immigrazione, chiedono una revisione della normativa sull’immigrazione, a partire dal superamento del sistema delle quote di ingresso fissate nei decreti flussi e dalla previsione di canali di arrivo legali, anche per il sistema di asilo. Il nostro Paese risente di oltre venti anni di procedure “straordinarie” di sanatoria ed emersione, che hanno costretto i migranti a lavorare in nero in attesa di una legge e di un successivo permesso di soggiorno. L’ultima procedura di emersione, quella del 2020 – probabilmente la peggiore per mancata chiarezza e lentezza di istruzione delle pratiche – è stata frutto di faticose mediazioni politiche, ha escluso importanti settori lavorativi e ha richiesto delle condizioni di accesso (ad es. prove di presenza in Italia) che contraddicevano il fatto stesso di essere irregolari. La regolarità è lo strumento più importante per sconfiggere la tratta e lo sfruttamento, per contrastare l’esclusione sociale, ed è condizione imprescindibile per le politiche di accoglienza e integrazione: la legge deve favorirla, non il contrario. Per le nuove generazioni abbiamo invece l’urgenza di una nuova legge sulla cittadinanza italiana: in Emilia-Romagna 1 bambino nato su 4 ha almeno un genitore straniero e il 17,1% degli studenti nelle scuole ha cittadinanza straniera. Non possiamo ignorare che questi bambini e bambine, questi ragazzi e ragazze sono emiliano-romagnoli, sono italiani perchè in Italia sono nati e cresciuti, perché questa è la loro casa ed è la comunità alla quale sono chiamati a contribuire. Queste nuove generazioni devono potersi riconoscere nella società di cui fanno parte ed esercitare pienamente i diritti e doveri legati alla cittadinanza italiana. Dobbiamo superare le discriminazioni dirette e indirette legate all’origine straniera e creare una società nella quale siano garantite a tutti le pari opportunità, per l’accesso ai servizi scolastici, formativi, sociali, sanitari, l’accesso alla casa e al mercato del lavoro. Solo così potremo superare una realtà, anche regionale, che vede gli stranieri maggiormente occupati in lavori precari, rischiosi, a bassa retribuzione, con mansioni di livello inferiore, con un indice di occupazione più basso degli italiani (dovuto in particolare alla componente femminile di alcune nazionalità), poco coinvolti in processi formativi e professionalizzanti».