«Bisogna essere un po’ mitomani per cambiare le cose, decidere che quello che hai immaginato è reale. Sentire le scosse».
Annalena Tonelli, forlivese, uccisa in Somalia nel 2003, non amava essere definita una missionaria. In realtà, come racconta la sua lontana cugina Annalena Benini nel libro edito da Einaudi «Annalena» (e forse non si poteva chiamare diversamente) non amava le definizioni punto e basta, così come le caselle, così come le domande, così come qualsiasi tentativo esterno di raccontarla, di farle perdere tempo, di circoscriverla, di celebrarne l’impegno.
Non è un caso se, in questo libro toccante e bellissimo, l’autrice ammette una certa fatica (e anche un certo superamento del limite, dato che Tonelli non voleva si parlasse di lei) nel provare a mettere nero su bianco chi era quella donna dalla «grandezza insopportabile».
Tonelli era grande perché sentiva che a quella scossa interiore potesse davvero corrispondere una traduzione nel concreto, perché dimostrava ogni giorno di poter stare nella dismisura, e non nella misura decisa dagli uomini. Perché non pensava mai in piccolo, non viveva per accontentare gli altri ma per alimentare il suo fuoco interiore, che la voleva da quella parte del mondo dove gli ultimi, gli emarginati, i poveri i malati avevano bisogno proprio di gente come lei.
Quel «dare tutto in prima persona», quell’assolutismo dell’amore per gli altri, quella visione, Annalena Tonelli la esprimeva nel far fiorire gli altri, nel fiorire insieme a loro. Perché «la carità la fanno le signore del Rotary Club che si annoiano. Lei stava costruendo la sua teoria del tutto».
Non era facile avere a che fare con il suo «buttiamoci piuttosto ad amare», con quella dedizione, quella intransigenza, quella velocità del cuore e della mente. Non è un caso se Tonelli, una che aveva fatto il salto e che non riteneva che l’uomo fosse l’unità di misura delle cose e delle esperienze possibili, a un certo punto sia risultata scomoda, ingombrante, fastidiosa, tanto da dover essere tolta di mezzo.
Annalena Benini, che ne ha colto a distanza di anni «l’amore esagerato», a volte la immagina seduta accanto a lei a tavola, che semplicemente evapora per «la futilità di tutto».