“Almarà per uscire dallo stereotipo della donna araba senza voce”

Rappresentare la donna araba nella cultura e nella musica, uscendo dallo stereotipo della figura femminile oppressa e senza voce. Questo, in sintesi, il messaggio portato avanti da Almarà, l’Orchestra delle donne arabe e del Mediterraneo che sabato 25 maggio alle 21,30, al Teatro Alighieri di Ravenna, si esibirà insieme Ginevra Di Marco e alla Babelnova Orchestra nello spettacolo, inserito nel programma del Festival delle Culture 2024,  “She, هي, elle, lei: voci di acqua e di terra, suoni di mare e di sabbia”.

A parlarci di Almarà e del progetto “She” è Silvia La Rocca (flauto traverso e ottavino), italiana nata in Eritrea: “A Ravenna saremo in sette, la nostra formazione per intero vede una decina di donne. Siamo tutte legate ad altri Paesi ma ruotiamo intorno all’Italia, per diversi motivi. A volte ci dicono che siamo l’Italia del futuro, noi ribattiamo che siamo, invece, l’Italia del presente e anche del passato, perché questo Paese è sempre stato un porto”. A fare da collante tra le diverse anime e radici delle musiciste di Almarà sono vari elementi: “Devo ammettere che siamo in una botte di ferro a livello organizzativo, grazie a Maurizio Busia e Simona Capristo di Fondazione Fabbrica Europa e a Ziad Trabelsi, nostro direttore artistico. Al di là della loro fondamentale spinta, il legame che tutte le donne di Almarà hanno fuori dal palco, si respira anche quando ci esibiamo. Poi è vero, quando suoni insieme mentalmente e fisicamente sei sempre portato a cercare l’altro, come in una bellissima metafora della società in cui vorremmo vivere. E questo fondersi in un unico senso, per forza di cose, la gente lo respira”.

Nel suonare e valorizzare la musica araba, le Almarà trascinano con sé anche il tema dell’identità: “Io sono nata in Eritrea, adottata a sedici mesi da una famiglia italiana e quindi a tutti gli effetti italiana. Ma più di una volta mi sono sentita di dover giustificare il mio essere italiana. Per alcuni ero e sono ‘italiana ma…’. Questo elemento si è accentuato quando mi sono messa alla ricerca delle mie radici: volerle scoprire era come una prova che non fossi e non mi sentissi abbastanza italiana. Almarà, a livello mio personale, è riconoscersi nelle proprie origini, nel proprio ricco bagaglio, nelle proprie identità multiple”.

E l’effetto trascinante, è assicurato: “Spesso incontriamo un pubblico giovane, aperto cosmopolita. Ma in realtà ci capita anche di stare davanti a persone all’apparenza più restie, che però dalla musica araba, così coinvolgente, riesce a farsi coinvolgere. Io stessa, ne tempo, mi sono messa a ricercare la musica araba, sia tradizionale che moderna, apprezzandone la gioia, il senso di condivisione. In fondo la musica ci deve smuovere, sia col corpo che con la testa. L’arte è pur sempre politica, non ci lascia mai fermi”.