Albana Nurja: «Fare la mediatrice è anche metterci il cuore»

Albana Nurja

«Del mio lavoro mi piace il fatto di sentirmi utile, anche se non ho la bacchetta magica per compiere miracoli. Ma soprattutto, amo entrare nelle emozioni e nelle storie degli altri, perché in fondo mediare è anche questo, non limitarsi a tradurre ma empatizzare. Questo avviene soprattutto nelle mediazioni sociali».

Albana Nurja, 38 anni, originaria di Scutari, nell’Albania nord-occidentale, è una mediatrice interculturale della cooperativa Terra Mia di Ravenna: «Da due anni, dopo essermi trasferita in Romagna insieme a mio marito, mi dedico a questo lavoro, che devo dire non avrei forse mai pensato di fare nella vita. Quando ero ancora al mio Paese, un cugino che aveva vissuto a Roma mi aveva raccontato dell’esistenza di questa figura professionale ma in Albania, davvero, non è conosciuta. In realtà anche in Italia pochi sanno chi è e cosa fa un mediatore, specie se si è al di fuori del mondo dell’accoglienza e dell’immigrazione in generale».

Laureata in Letteratura e lingua albanese, Albana considera il mestiere del mediatore anche una sorta di trampolino per entrare nel mondo del lavoro: «Quando sono arrivata a Ravenna, di mediatori albanesi non ce n’era bisogno. Poco a poco, frequentando i corsi di italiano e rimanendo in contatto con la Casa delle culture, ho capito che si era aperto uno spazio. Così, durante la pandemia, ho frequentato un corso specifico e subito ho iniziato a lavorare».

Albana opera prevalentemente nelle scuole, a sostegno dei bambini e dei ragazzi albanesi arrivati da poco, o al fianco dei minori stranieri non accompagnati accolti dalle comunità del territorio, così come all’Ufficio immigrazione: «Il loro bisogno di cercare fortuna altrove io lo capisco. Dopo essermi trasferita a Tirana in seguito agli studi universitari, io stessa per un periodo ero rimasta senza lavoro. Lì ho cominciato a pensare di trasferirmi all’estero, anche se la prima idea era stata l’Olanda. Ho lavorato anche in un albergo in Corsica, fino a che sono arrivata a Marradi, poi a Ravenna».

Mamma di un bambino di quattro anni, Albana vede nella sua posizione di mediatrice anche una certa flessibilità: «Questo è un mestiere che ti fa stare sempre in giro ma non ti fa annoiare mai. E che, inoltre, consente di conciliare bene la famiglia e il lavoro. Mi piacerebbe, un giorno, poter convertire la mia laurea e lavorare nelle scuole come insegnante. Per il momento, mi godo la bellezza di quello che sto vivendo».

Intanto, la sua cultura di contamina inevitabilmente con quella italiana: «Dell’Albania mi mancano gli amici e il fatto di poter contare su qualcuno, per qualsiasi cosa. Qui si è molto soli, anche se la comunità albanese è importante e permette di trovare facilmente persone del proprio paese. Grazie alla scuola di mio figlio e al lavoro di mio marito, qualche legame è nato. Ma in generale, respiro una certa freddezza. Io continuo, dal canto mio, a metterci il cuore».