«Se vai a Roma, devi comportarti come i romani!». È una delle cose che rimane impressa parlando con Lamin Touray, oltre al suo italiano praticamente perfetto. Gli insegnamenti che gli sono stati impartiti da Giulio e Micaela, che lo hanno preso in affido quando aveva 16 anni, rimangono punti saldi nella sua vita, anche ora che è andato via da Ravenna e che da più di un anno vive sul Lago di Garda, dove si è trasferito per lavoro: «“Parto e vado a trovare altre speranze”, mi sono detto prima di lasciare il mio Paese per venire in Italia. Mi rendevo conto che in Gambia non c’erano molte possibilità per me. Solo chi sta meglio economicamente può permettersi di accedere alle scuole migliori. Ho perso mio padre all’età di 5 anni e vivevo con la mia mamma quando ho preso la mia decisione. Lei non era d’accordo, ma adesso quando mi sente è serena, perché sa che sto bene, che ho fatto la cosa giusta».
La testimonianza di Lamin sarà al centro del salottino digitale «Affidati» in programma lunedì 31 gennaio alle 18,30 per raccontare i mille risvolti dell’affido di un minore straniero non accompagnato (ci si iscrive a questo link).
È il 2016 e Lamin ha 14 anni quando una mattina prende in mano il proprio destino. Il passaggio in Libia, traumatico per la maggior parte dei migranti che seguono quella rotta, per lui è stato abbastanza tranquillo: «Ne ho viste di cose brutte, ma per fortuna a me non è capitato nulla. Arrivato in Italia, ho trascorso tre anni in una casa famiglia, sempre a Ravenna, prima di conoscere Giulio e “la Mica”. Ricordo la prima volta che li ho visti in ufficio, mi sono piaciuti subito. Poi un giorno sono venuti a prendermi e mi hanno portato a comprare la cameretta all’Ikea».
La convivenza prosegue anche dopo il compimento del diciottesimo anno di Lamin: «Loro hanno cercato di tirarmi fuori dal mondo degli immigrati. Mi dicevano che quando uscivo da scuola, potevo passare alla stazione, ma che era meglio non fermarmi. Che potevo fare la spesa, ma poi dovevo tornare a casa. Giulio ha cercato di farmi appassionare alla lettura, mi portava libri e fumetti, ma a me non interessa molto leggere, a parte libri di cucina. Non gliel’ho mai detto, anche se credo che “la Mica” se ne sia accorta».
Mentre vive a Ravenna, Lamin prende la terza media, la patente, fa una scuola professionale di meccatronica e comincia a giocare a calcetto: «Sono Mica e Giulio, in realtà, che mi hanno insegnato tutto, con loro ho perfezionato l’italiano e ho imparato come comportarmi. Non so dove sarei senza di loro. Mi hanno accolto come se fossi loro figlio».
Quando si avvicina il momento della partenza – Lamin sceglie di andare a fare la stagione estiva sul Lago di Garda – in famiglia si crea un’atmosfera di malinconia: «I giorni prima, soprattutto la sera dopo cena, non stavo più con loro a chiacchierare o a guardare la tv. Me ne andavo in camera, perché volevo farli abituare alla nuova condizione, a quando non sarei più stato seduto a tavola con loro. Proprio quella tavola attorno alla quale ho imparato a dire “buonanotte”. So che sembra un po’ strano, ma nel mio Paese, per andare a dormire, ci si alza e si va via senza dire nulla. Sono piccole cose, gesti quotidiani, che però mi hanno insegnato a vivere in questo Paese che mi ha accolto».
Oggi Lamin ha 20 anni, vive ancora sul Lago di Garda ed è in procinto di iniziare una nuova stagione nello stesso ristorante dell’anno scorso: «Mi sono sentito subito accolto dai miei colleghi; io non me lo aspettavo, all’inizio ero agitatissimo. Ogni volta che torno a Ravenna mi sento a casa, ma ho deciso che per ora mi fermo a vivere qui».
Intanto anche Giulio e Michela si sono trasferiti sul Garda, ma dall’altra parte del lago. E se chiedi a Lamin se lo abbiano fatto per stargli più vicino, risponde di no, ma che forse era destino.
Per candidarsi all’affido di un minore straniero non accompagnato a Ravenna, consulta la sezione minori del sito dell’Albo delle famiglie accoglienti