Abu, gli Scout, Enrico: «Io gli ho aperto la porta, lui è entrato»

Ci sono persone che incontri per caso e con le quali senti subito un’affinità, anche se parlano una lingua diversa dalla tua, praticano un’altra religione, hanno tradizioni differenti. A volte bastano un cenno, uno sguardo e una stretta di mano per creare le radici di relazioni destinate a durare nel tempo. Poi scopri che alla base di questa intesa ci sono valori profondi, condivisi, che oltrepassano confini, nazioni e continenti.  Questo è quello che è successo a Enrico Manganelli, capogruppo Scout del gruppo Ravenna 2, parrocchia di San Biagio e responsabile dell’Emporio Caritas. A dicembre 2022, quando è sbarcata a Ravenna la Ocean Viking, Manganelli era lì assieme alla Caritas e alla Croce Rossa per portare cibo e fornire i primi soccorsi: «Ricordo lo sbarco di un gruppo di ragazzi del Gambia, che poi sono stati suddivisi tra le varie associazioni. Tra di loro c’era Abu, minore straniero non accompagnato che, poi, in un secondo momento, una volta in comunità, ha chiesto di essere collocato nel gruppo della Caritas che lo aveva accolto all’arrivo. E’ così che ci siamo conosciuti».

Com’è nata la vostra amicizia ?

«Abu ha iniziato a collaborare con la Caritas nello svolgimento di alcune mansioni, come la consegna di pacchi alimentari. Tra noi è subito nato un bel rapporto, che poi si è consolidato nel tempo. Si è rivelato un ragazzo molto accogliente e disponibile. Mi ha raccontato che nel suo Paese faceva lo Scout e gli sarebbe piaciuto fare parte del mio gruppo. Così mi sono adoperato per ottenere tutti i permessi del caso e farlo entrare. Se sei uno Scout, non importa da quale paese arrivi, sei comunque un amico. Abbiamo trascorso assieme 15 giorni durante il campo estivo, è stata una esperienza meravigliosa. Quando gli abbiamo dato il fazzoletto Scout, era profondamente commosso».

Finita l’estate che cosa è successo?

«A settembre Abu ha iniziato una scuola professionale fuori Ravenna, ma ha chiesto di continuare a fare parte degli Scout, così ha ricominciato a venire da me nel tempo libero e a frequentare di nuovo anche la Caritas. Quando ci vediamo è una grande festa, fa parte del gruppo e faremo il campo estivo assieme anche quest’anno».

Il fatto che Abu sia di un’altra religione ha creato delle difficoltà all’interno di una associazione cattolica?

«Non c’è stato assolutamente nessun problema. Lui è musulmano praticante, si prende i suoi momenti per pregare, fa il Ramadan e osserva tutto quello che prevede la sua religione. Quando c’è la messa, lo vive come un momento d’incontro con gli altri, partecipa al rituale, dà il segno della pace. Non ci differenze tra noi e lui, perché lui da subito è stato accolto come membro del gruppo».

Quali valori professati dagli Scout hanno contribuito all’accoglienza di Abu nel suo gruppo?

«Lo scoutismo crea legami importanti, ti sostiene, ti consolida e non fa differenze. Insegniamo a non giudicare e questo è fondamentale, a portare rispetto per gli altri e per il mondo che ci è stato dato. Quando ce ne andiamo dobbiamo lasciare un bel ricordo di chi siamo stati e di cosa abbiamo fatto. Chi entra dalla porta è tuo fratello e come tale va considerato».

Si è mai chiesto come mai proprio con Abu è nato un legame così speciale?

«Quando due persone vengono da due paesi diversi ma hanno gli stessi ideali, valori, per me sono fratelli.  Abu fuggiva dalla certezza che lì dove viveva non avrebbe avuto un futuro. Penso che per essere accolti bisogna, in primis, saper accogliere. Io ho aperto la porta e lui è entrato».